Giulio Pellizzari durante la cronometro Castiglione delle Stiviere-Desenzano del Garda (foto Tim de Waele/Getty Images)

diario dal Giro

Il viaggio del Giro d'Italia raccontato da Domenico Pozzovivo e Giulio Pellizzari

Marco Pastonesi

Il più giovane e il meno giovane della corsa rosa, nel secondo giorno di riposo, ci raccontano il bello e il brutto (c'è?) delle prime quindici tappe

Da Torino a Livigno passando per Napoli: 2.395,8 km alla media di 42,626, quella di Tadej Pogacar, primo nella classifica generale e maglia rosa. Alle sue 56 ore, 11 minuti e 42 secondi Domenico Pozzovivo, il meno giovane del gruppo (quasi 42 anni), quattordicesimo, deve aggiungere 18 minuti e 55 secondi, e Giulio Pellizzari, il più giovane (non ancora 21), settantesimo, addirittura 2 ore, 9 minuti e 37 secondi. Oggi è il secondo e ultimo giorno di riposo prima dell’ultima settimana.

 


 

Pozzovivo: “Il Giro d’Italia è un viaggio. Fuori e dentro di me. Un viaggio fuori di me, la gente: tanta, tantissima, imprevista, il ciclismo è fatto per stare fra la gente. Fuori, la festa: il Giro ha questo potere, fermare la vita di tutti i giorni, trasformare i feriali in festivi, invadere vie e piazze, accendere paesi e città. Fuori, le strade: si capisce subito dove passa il Giro, non sarebbero neppure necessarie indicazioni e frecce, il percorso è quello dove ci sono asfalto fresco e erba falciata, anche immondizia raccolta. Fuori, l’Italia: dimore reali e chiese millenarie, silenziose strade di campagna e indaffarati viali metropolitani, la costa adriatica dove si sta preparando la stagione balneare, poi l’imponenza, la maestosità, la solennità delle Alpi. Ed è un viaggio dentro di me, sconfinando dai momenti di gioia e speranza, quelli delle fughe, ai momenti di fatica e sofferenza, quelli degli inseguimenti. Il ciclismo è uno sport crudele, uno sport che sa essere anche crudele, ma è proprio questo che mi piace”.

Pellizzari: “Il Giro d’Italia è un viaggio, e siccome è il mio primo Giro, è tutto nuovo. Non c’è partenza che non mi stupisca, non c’è arrivo che non mi stordisca, non c’è percorso che non mi affascini. E’ tutto nuovo anche se da qualche parte sono già stato, anche se su qualche strada ho già pedalato, ma ogni volta è come se fosse la prima volta, dipende dalle condizioni e dalle situazioni, dalla velocità e dalla concorrenza. E’ un viaggio lungo, e più veloce di quello che si possa immaginare, se in cinque giorni siamo passati da Napoli a Livigno, dal mare del sud alle montagne del nord. A dire la verità: amo più il mare, senza bici, e amo più la montagna, ma con la bici. Il Giro d’Italia è un viaggio più lungo di quello che risulta: due settimane, qui, valgono due anni. Il ciclismo è uno sport avventuroso, ed è proprio per questo che mi piace”.

Pozzovivo: “E’, il mio, un lungo addio. L’ultimo Giro per rivedere e salutare, anche per ricevere tanto affetto e rispetto. Acclamatissimo. Mi fa una certa impressione. Ne sentirò la mancanza”.

Pellizzari: “Il ciclismo è lo sport dove il primo vince e tutti gli altri perdono. L’ordine d’arrivo è quello, ed è inappellabile, indiscutibile. Anche se arrivi secondo o ultimo, anche se hai dato tutto, anche se ti è successo di tutto, anche se può essere stata una lezione, un’avventura, un’impresa. L’importante è vincere. Non è fondamentale, ma importante”.

Pozzovivo: “Fra me e Pellizzari ci sono più di 20 anni, dunque almeno un paio di generazioni, anche come corridori. Ma anche con gli altri corridori c’è una bella differenza di età. E di esperienze. Certe volte mi maschero da giovane per capire meglio, e anche per raccontare, senza far pesare, senza cadere nella nostalgia. I corridori di oggi sono quelli social, forse più spavaldi, forse anche più rassegnati, come passeggeri su una nave, incapaci di cambiarne la rotta. E’ come se fosse la vita a scegliere il loro destino, e non loro artefici della propria vita e dunque del proprio destino”.

Pellizzari: “La tappa dove ho sofferto di più è stata quella di Francavilla al Mare, ho stretto i denti dalla partenza all’arrivo, dal primo all’ultimo chilometro per 207 chilometri, pianura che a me sembrava soltanto salita, ma ero mezzo malato. La tappa dove ho goduto di più è stata quella dei muri, nelle Marche, le strade di casa mia, quasi tutte provate e riprovate, corse e percorse, quasi a memoria. Un tifo commovente, che mi ha dato la carica. La tappa dove mi sono spaventato di più è stata quella di Cusano Mutri, temevo di non arrivare in fondo. La tappa che aspetto di più è quella di mercoledì prossimo, da Selva di Val Gardena al Passo Brocon: farò come quelli che tutti i risparmi di una vita se li giocano in una sola notte al casinò”.

Pozzovivo: “Pogacar è di un’altra categoria. Ha il dono della leggerezza. In salita vola. Poi, giù dalla bici, è un tipo tranquillo, con i piedi per terra”.

Pellizzari: “Pogacar è di un’altra categoria. Sembra non fare fatica. Forse non la fa. Madre natura lo ha premiato. Lui ci mette il resto”.

 


 

Qui il primo diario di Pozzovivo e Pellizzari | qui invece potete leggere il secondo