1939-2024
È morto Karl-Heinz Schnellinger, per tutti Carletto
Se i giocatori di Italia-Germania 4-3 divennero “eroi” fu soprattutto merito del difensore tedesco. Fu lui, poco prima del 90esimo a siglare l’1-1 che prolungò ai supplementari una partita fino a quel momento tutt’altro che memorabile
Questa notte è morto Carletto Schnellinger, "profession: bel zòvine" avrebbe detto una vita fa Paròn Rocco, che al Milan lo ha allenato e che lo amava tantissimo. Aveva compiuto 85 anni. Era nato il 31 marzo 1939 a Duren, Germania, una città a metà strada tra Colonia e Aquisgrana. Si ricordava da bambino la guerra che infuriava dalle sue parti: tra il settembre 1944 e il febbraio 1945 si scatenò la cosiddetta Battaglia di Hürtgen, lo scontro di terra più lungo di tutto il secondo conflitto mondiale combattuto sul suolo tedesco. Gli alleati tentarono di sfondare la linea del fronte, ma furono respinti con notevoli perdite. La popolazione tedesca dell’area venne sfollata a est. Karl-Heinz ricordava che a cinque anni, insieme ad altri bambini della sua età, era finito in una grande scuola a Berlino. La notte dormivano in grandi camerate in letti a castello. Per il freddo o per la paura, il ragazzino che dormiva sopra di lui fece la pipì e il piccolo Carletto, altrettanto impaurito e infreddolito, se la vide sgocciolare come una cascatella da sotto il materasso.
Me lo raccontò quando, quattro anni fa, avevo intervistato alcuni degli “Eroi dell’Azteca”, in occasione del cinquantenario di Italia-Germania 4-3, che per una generazione di calciofili è stata a lungo “el partido del siglo”. Era l’unico tedesco a cui chiesi che cosa rappresentasse per lui giocare, a venticinque anni dalla fine del conflitto, quell’Italia-Germania. Carletto era tra i più vecchi e della guerra si ricordava quell’episodio del letto a castello. Enrico Albertosi, suo coetaneo, il bombardamento alleato allo scalo ferroviario di Pontremoli; Pierluigi Cera i raid del ricognitore Pippo nelle campagne veronesi; Picchio De Sisti l’avventurosa fuga e il ritorno a casa di suo padre deportato dalle SS…
Ma se i giocatori di Italia-Germania 4-3 divennero “eroi” fu solo merito di Karl-Heinz Schnellinger. Fu lui – che di reti in carriera ne fece pochissime – poco prima del 90’ a siglare, con un gol in spaccata, l’1-1 che prolungò ai supplementari una partita fino a quel momento tutt’altro che memorabile…
Karl-Heinz Schnellinger era arrivato a giocare in Italia nel 1963, dopo quattro stagioni nel Colonia, con cui vinse il campionato nel 1961-62. Lo acquistò la Roma, che lo diede però per un anno in prestito al Mantova. Per un segno del destino, fece il suo esordio in serie A il 15 settembre 1963 contro il Milan: il Mantova perse in casa per 4-1 (doppiette di Altafini e di Amarildo che segnano a un giovane Dino Zoff), ma il biondo tedesco, nonostante il punteggio, mise in luce le sue ottime qualità di arcigno difensore. C’era però un altro segnale rossonero in quel debutto: sulla panchina dei virgiliani sedeva Luigi Bonizzoni, detto “Cina”, dal suo amico e compagno di scuola Gianni Brera, che al Milan, da allenatore, aveva vinto uno scudetto nel 1958-59. Il Mantova arrivò 11°, si salvò e Schnellinger se lo riprese la Roma, dove giocò una sola stagione.
Nell’estate del 1965 arrivò al Milan: a volerlo in squadra fu Nils Liedholm, che per il secondo anno stava sulla panchina rossonera. Era l’ultima stagione di Cesare Maldini e in quella squadra, che fece un campionato mediocre segnato dalle tormentate vicende societarie – la bancarotta del presidente Felicino Riva – e da un’epatite che tenne lo stesso Liedholm lontano dal campo - , Karl-Heinz, diventato ormai Carletto, trovò tanti amici: su tutti, Giovannino Lodetti. Gli anni d’oro di Schnellinger al Milan iniziarono con la stagione 1967-68 col ritorno in panchina di Nereo Rocco, che se n’era andato per una questione di onore all’indomani della vittoria a Wembley della prima Coppa dei Campioni, nel 1963. L’anno si concluse trionfalmente con lo scudetto e, a proposito di Europa, con la Coppa delle Coppe, dove Carletto, perno della “Maginot rocchiana” composta da Cudicini in porta e Anquilletti e Rosato in marcatura, fu fondamentale nella vittoria in finale per 2-0 contro i suoi connazionali dell’Amburgo (doppietta di Hamrin).
La stagione seguente è la consacrazione: il Milan vince Coppa dei Campioni – nei quarti di finale, contro il Celtic di Glasgow, Schnellinger gioca lo stesso con un alluce rotto – e con la Coppa Intercontinentale conquistata nella battaglia della Bombonera contro l’Estudiantes.
Schnellinger, che dapprima gioca terzino sinistro, col passare degli anni si sposta al centro della difesa, ed è uno dei muri contro cui vanamente sbatte il Leeds nella finale di Coppa delle Coppe del 1973, a Salonicco, epica barricata a difendere l’1-0 messo a segno da Chiarugi su punizione dopo pochi minuti. Ma da quella finale Schnellinger esce acciaccato (comincia ad avere i suoi anni…) e deve rinunciare, qualche giorno dopo, a scendere in campo a Verona, nell’ultima decisiva partita di campionato. Si sa come andò a finire… Forse con Carletto, detto Volkswagen, per la sua teutonica affidabilità, la città scaligera sarebbe stata meno fatale per la storia rossonera. Del resto il suo mestiere era quello di non far segnare gli avversari e quel giorno il Milan beccò 5 gol tutti in un colpo e affondò in vista del decimo scudetto.
L’anno dopo fu la sua ultima stagione in maglia rossonera (334 partite e soli 3 gol, tutti in partite di Coppa Italia e nessuno in campionato o nelle Coppe europee): curiosamente la sua carriera si chiuse ancora con una finale di Coppa delle Coppe e ancora una volta contro una squadra tedesca. Questa volta erano però i tedeschi dell’Est del Magdeburgo che, molto a sorpresa, ebbero la meglio per 2-0 su un Milan allenato dal giovane Trapattoni e che, benché favorito – aveva eliminato in semifinale il fortissimo Borussia Mönchengladbach –, arrivò all’ultimo atto falcidiato dagli infortuni.
Schnellinger tornò in Germania a giocare per un anno nel Tennis Berlino, ma poi decise di appendere le scarpette al chiodo. Rimase a vivere a Milano, dove aveva messo le radici. Cinque anni fa, nel 2019, con la sua solita inesauribile simpatia Giovannino Lodetti aveva organizzato in una trattoria di periferia a Milano un pranzo di “reduci” per festeggiare i cinquant’anni della vittoria di Coppa dei Campioni e dell’Intercontinentale: c’erano tutti, o quasi. Ma a tenere banco, coi loro ricordi e le loro battute, erano loro, Basletta e Volkswagen, coppia di puro cabaret. Giovannino – anzi: "Ciofannino" come lo chiamava il suo amico biondo – è stato più svelto ad andarsene, ma adesso che Carletto lo ha raggiunto, ricominceranno "a dir monade", come direbbe il loro Paròn.