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Il Foglio sportivo

Dentro i segreti dell'Atalanta

Michele Tossani

Folgorato dall’Ajax, così Gasp iniziò la costruzione del miracolo nerazzurro all'insegna della modernizzazione
 

La classe operaia va in paradiso.Come da titolo del film di Elio Petri del 1971 anche l’Atalanta, squadra che possiamo definire operaia (non è una tradizionale big), ha trovato il suo paradiso. E lo ha fatto conquistando nella notte di Dublino il primo trofeo europeo della sua storia. Il tutto al termine di un confronto nettamente dominato contro il Bayer Leverkusen e dopo una campagna continentale che ha visto i bergamaschi superare formazioni ben più avvezze al clima europeo quali Sporting Lisbona, Liverpool e Olympique Marsiglia.

Dietro questo successo si celano il lavoro del club lombardo e quello, sul campo, di Gian Piero Gasperini. Il tecnico di Grugliasco è a Bergamo dal 2016, anno in cui ereditò da Reja una squadra finita tredicesima in Serie A. L’inizio non fu facile per il Gasp: dopo 5 giornate la Dea era penultima in classifica, con soli 3 punti conquistati. In un’altra piazza, con un’altra società, un tecnico che si fosse presentato al via della stagione con questo ruolino di marcia sarebbe stato esonerato.
Non a Bergamo. Il presidente Antonio Percassi ha avuto infatti pazienza e ha dato fiducia a Gasperini. La storia ci ha insegnato che quella decisione si è rivelata essere quella giusta. Dopo poco infatti è cominciata la lunga marcia che ha portato in questi anni l’Atalanta a inserirsi fra le grandi del campionato italiano e a diventare una presenza quasi costante nel panorama europeo. Soprattutto, Gasperini ha contribuito in modo sensibile a rivoluzionare il calcio e questo da almeno sedici anni, vale a dire da quando (nel 2007) si affacciò alla Serie A col Genoa. 
Da quel momento, tutti hanno potuto ammirare un sistema di gioco contraddistinto dalla marcatura individuale a tutto campo, dal pressing forte in avanti e dalla costruzione di quadrilateri mobili nella zona della palla. Il tutto condito dalla riscoperta della difesa a tre. Una versione post-moderna però, liquida e attiva, con i terzi che si spingono in avanti fino a invadere l’area avversaria e ad andare al tiro in prima persona. Diversa dunque da quelle più bloccate, anche se sempre propositive, che Malesani e Zaccheroni avevano proposto negli anni Novanta. 
Fra tanti allenatori gestori, molti che si limitano a copiare il modello del momento e qualche vero rivoluzionario, Gasperini si propone quindi come un modernizzatore, uno cioè che guarda al passato per renderlo attuale.

La folgorazione, per lui, è avvenuta vedendo l’Ajax. “Inizialmente adottavo il 4-3-3, poi ero stanco di dire a un terzino di inserirsi e all’altro di fermarsi. In Europa vidi l’Ajax fare questo sistema e capii che poteva funzionare”, ha dichiarato una volta.
In Italia è una novità. Molti facevano e fanno ancora fatica ad affrontare questo atteggiamento difensivo. Giocare contro l’Atalanta di Gasperini ti fa venire il mal di testa o, come ha detto Guardiola, equivale a una seduta dal dentista.
In un’epoca poi nella quale si è affermato il gioco di posizione di Pep, con squadre che in fase offensiva vanno a occupare determinati spazi e a riempire tutti i corridoi verticali del campo, la marcatura individuale in una difesa a cinque di Gasperini diventa una sorta di anticorpo ideale per quel tipo di approccio.
Con questo credo calcistico Gasperini ha dunque issato l’Atalanta fino ai vertici del calcio europeo diventando l’allenatore più anziano (a 66 anni e 117 giorni) a vincere al debutto in una finale di una competizione europea e il primo a condurre una formazione italiana alla vittoria in quella che un tempo era la coppa Uefa, dai tempi di Malesani (col Parma di Buffon, Thuram, Cannavaro, Verón e Crespo nel 1999).  
In base a quando detto finora, la vittoria dell’Atalanta rappresenta però la ciliegina su una torta che va al di là del trofeo conquistato. In un paese come il nostro, nel quale siamo abituati a giudicare gli allenatori soltanto in termini di scudetti e coppe vinte, l’impatto di Gasperini sul gioco va al di là del trofeo conquistato.
Per rendersi conto di ciò basterebbe chiedere a tutti i suoi figli calcistici, siano essi i giocatori esplosi o rigenerati sotto la sua guida (buoni ultimi quel De Ketelaere passato da oggetto misterioso al Milan a protagonista con a Bergamo o, ancora, uno Scamacca che sembra pronto a diventare titolare nella Nazionale di Luciano Spalletti) oppure tutti quei tecnici che si sono ispirati al modello gasperiniano, come i vari Tudor, Juric, Palladino in Italia o i molti che lo hanno copiato in Europa.
E lo stesso Gasperini, nel dopo partita di Dublino, ha rimarcato come la vittoria, alla fine, rappresenti qualcosa che non deve far passare in secondo piano il percorso. “Mi rimproveravano il fatto di non aver mai vinto un trofeo? Adesso non credo di essere migliore rispetto a oggi pomeriggio. Ognuno ha i suoi obiettivi, quest’anno ha vinto il Bologna, ha vinto il Verona”.

Vincere, dunque, come un concetto più ampio del semplice arrivare primo. È questo, più di ogni altro, il concetto più importante che Gasperini ha trasmesso con questa vittoria.
Per arrivare dove è arrivato il tecnico piemontese ha potuto contare anche sulla stabilità tecnica garantitagli dall’Atalanta. Il vero segreto del successo dei bergamaschi dunque è stato quello di affidarsi ad un tecnico preparato e seguirne le indicazioni tecniche per allestire delle squadre che, negli anni, hanno potuto contare sul tradizionalmente florido vivaio nerazzurro ma anche su una efficace politica acquisti e cessioni che ha consentito all’Atalanta di arrivare dove è arrivata pur disponendo di un budget paragonabile a quello di un club di bassa Premier League. Scalvini e Lookman invece degli Zidanes y Pavones di madrilena memoria.
Che farà ora Gasp? Otto anni sulla stessa panchina sono una enormità, soprattutto per il nostro calcio. Basti vedere per esempio, dal 2016 ad oggi, quanti allenatori hanno cambiato le varie Inter, Milan, Napoli, Roma…
Per Gasperson (soprannome che richiama al lungo regno di Alex Ferguson al Manchester United), potrebbe essere arrivato il momento giusto per dimostrare che la breve esperienza alla guida dell’Inter nel 2011 è stata solo un incidente di percorso. 
Sarebbe però bello se Gasp decidesse di restare a Bergamo. Dove sarà difficile fare meglio, magari ripetendo le gesta di Boškov con la Sampdoria nel 1991 o di Bagnoli col Verona del 1985. Però mai dire mai. D’altronde, chi avrebbe qualche anno fa scommesso sull’Atalanta fra le regine d’Europa? Con Gasperini alla guida tutto è possibile.

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