Yuki Tsunoda - foto via Getty Images

Il Foglio sportivo

Yuki Tsunoda non ha paura dei computer

Umberto Zapelloni

Il pilota giapponese al Politecnico di Milano, diventato professore part time per parlare di auto a guida autonoma: "Noi umani sappiamo come battere l’IA"

"Non avrei mai pensato in vita mia di entrare in un’Università… ora sono qui come professore part-time…". Yuki Tsunoda comincia con una battuta la sua mattinata tra i futuri ingegneri del Politecnico milanese. E ottiene il primo applauso da un migliaio di ragazzi che hanno più o meno la sua età. Lo hanno chiamato a parlare del ruolo dell’intelligenza artificiale nel mondo dei motori insieme al professor Sergio Savaresi, direttore del dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria, una vera autorità in materia di guida autonoma, visto che gestisce anche il PoliMOVE, il team del Politecnico che gareggia senza pilota in giro per il mondo. Chiamare un pilota di Formula 1 a parlare di auto a guida autonoma, è un po’ come mettere su un bob quattro giamaicani mai usciti dalla spiaggia. Sembra strano, ma si può fare e l’effetto è assicurato. D’altra parte, dietro a tutto questo c’è Red Bull che si è appena inventata una nuova sfida europea, “Red Bull Can You Make it?” in cui equipaggi di tre persone devono raggiungere Berlino nel minor tempo possibile senza avere un euro in tasca e potendo barattare solo delle lattine di Red Bull. Una delle due squadre in partenza dal Poli si porterà dietro anche un video messaggio registrato da Yuki che dice: “Sono amici miei, aiutateli ad arrivare a Berlino…”. Buon divertimento.
 

Yuki si trova a suo agio in mezzo ai ragazzi. In fin dei conti è uno di loro, ha appena compiuto 24 anni. Quattro stagioni fa era stato il primo ragazzo del 2000 a correre in Formula 1. Oggi con 70 Gran premi alle spalle è quasi un veterano. A guidarlo nella conversazione con i ragazzi ci sono il professor Savaresi e Carolina Tedeschi. Yuki all’inizio era un oggetto misterioso, un raccomandato Honda, ma con il passare del tempo ha cominciato a farsi notare anche in pista, incassando punti che valgono oro per una squadra come l’ex Minardi, ex Toro Rosso, ex Alpha Tauri, oggi Visa Cash App Racing Bulls. “Quando ho lasciato il Giappone a 18 anni sono arrivato in Svizzera in un posto dove tutti parlavano francese, una lingua che non ho mai imparato e anche il mio inglese era molto peggio di oggi. Ho lottato, pure per capire gli ingegneri. Così la prima cosa che ho fatto è stata di concentrarmi sulla lingua. Usare tutte le occasioni per imparare qualcosa, con gli ingegneri, i meccanici, con i video game, con chiunque potessi parlare. Nel mio primo anno ho sottovalutato la Formula 1, soprattutto dal punto di vista fisico. Non ero abbastanza preparato e poi non riuscivo a tenere il passo del mio compagno. Stavo a Milton Keynes e non c’era molto da fare. Mi alzavo alla mattina e giocavo alla Playstation per dieci ore di fila. Non facevo la vita che deve fare un pilota di Formula 1. Poi parlando con il Team Principal ho deciso di trasferirmi in Italia e mi ha cambiato la vita. Amo la vita in Italia, il clima, il vostro cibo. Perché il sacrificio più grosso quando ho lasciato il Giappone è stato proprio il cibo…”, scherza con i ragazzi, incassando altri applausi. Il cibo è un po’ una sua fissazione. D’altra parte ha sempre raccontato che il suo sogno è quello di aprire un ristorante dopo esser diventato campione del mondo: “Non sarebbe male vincerne otto di titoli”, dice scatenando un po’ di risate. Italiano o giapponese? Ci pensa un po’. Poi assicura: “Preferisco ancora la cucina giapponese, ma mi piacerebbe avere un ristorante dove contaminare la cucina giapponese con quella italiana”.
 

Yuki prova a spiegare ai ragazzi come si gestisce la pressione in un weekend come quello di Monaco. La fa facile: “Gestire la pressione è un fattore chiave in Formula 1. Tutti abbiamo pressione, anche Max. Ognuno la gestisce a modo suo, io mi comporto come tutte le altre volte, cerco di seguire esattamente la solita routine. Cerco di dormire come sempre, di non pensare troppo a quello che mi aspetta per restare tranquillo”. Spiega come cerca di superare i momenti difficili: “Anche a Miami mi sono trovato in questa situazione quando dopo la qualifica sprint, Daniel Ricciardo era quarto e io indietro. Voleva dire che l’auto aveva le prestazioni e io no. Ho dovuto fare un reset prima delle qualifiche… Mi sono dovuto calmare. Ho giocato anche a ping pong con il mio preparatore, una cosa che mi serve molto a svuotarmi la testa”.
 

Il professor Savaresi gli chiede del rapporto con il suo ingegnere di pista, visto che molti studenti vorrebbero fare proprio quello dopo la laurea. “Lavoro con Mattia fin dal primo anno e la nostra è una relazione molto speciale, anche se non che siamo fidanzati… - altra risata della platea - ma siamo amici e non so come faccia a sopportarmi. All’inizio ero molto agitato anche alla radio, qualche volta anche aggressivo. Lui è stato bravissimo a calmarmi e aiutarmi. Io parlo solo con lui alla radio, ma lui è in contatto con tutta la squadra, parlerà con altri dieci ingegneri. E poi parla con me e mi spiega cosa fare precisamente”.
 

“Il simulatore è importantissimo nella Formula 1 di oggi. Ci passiamo un sacco di tempo. Io però odio il simulatore, per me è inutile – dice scatenando altre risate – stare al simulatore dalle 8 del mattino alle 5 e mezza della sera, in una stanza buia, davanti a degli schermi, è terribile, ma capisco quanto sia utile per arrivare poi in pista e avere la macchina già a punto dalle prime prove… forse il simulatore piace di più agli ingegneri che a noi piloti. Nella Formula 1, e nel motorsport in generale, la tecnologia deve necessariamente unirsi alle singole abilità dei piloti. Sono due fattori che contribuiscono alla performance. Basta pensare che adesso capita spesso di vedere l’intera griglia classificarsi in una finestra di tempo inferiore al secondo. Se si considerasse solo l’aspetto tecnologico senza le abilità del pilota, questo non sarebbe possibile. Allo stesso modo non bisogna sottovalutare il grande lavoro degli ingegneri”. E se il pilota fosse sostituito dall’intelligenza artificiale? Il professor Savaresi, che con il suo team a guida autonoma ha vinto dovunque, non può trattenere la domanda. Yuki ride: “Ho visto qualcosa sui social… ho visto che senza pilota qualcuno ha sbattuto ad Abu Dhabi…”.  Il team del Politecnico ad Abu Dhabi ha vinto il trofeo per il giro più veloce, una decina di secondi più lento di una Formula 1. Yuki è impressionato: “Cinque anni fa non avremmo mai pensato fosse possibile sostituire un pilota con un computer. Qualche volta sfruttiamo l’intelligenza artificiale per avere un’idea del giro perfetto. Un super lap con cui confrontarci. Per un giro a pista libera ok. Ma poi quando ci sono dei duelli non puoi fare a meno del pilota. Lì serve l’intelligenza umana. Io so che quel pilota si difende molto, che quell’altro è meno duro. Conosco i punti deboli e i punti di forza dei miei avversari. Ci vuole la testa dell’uomo. E tutto questo credo diverta gli spettatori… Preferisco un compagno come Daniel a un computer. È molto più divertente ve lo assicuro. Se arriverà il giorno in cui i computer ci batteranno? Può darsi. Ma io spero di no… e comunque per batterli basterebbe staccare la connessione…”.