tra Atene e Firenze
Un'altra Conference indigesta. La dannata paura di vincere della Fiorentina
L'Olympiacos vince la finale contro la Viola. La delusione di Firenze tra lo stadio di Atene, il Franchi e il Viola Park
L’Olympiacos centra il primo trofeo europeo per club del calcio ellenico. Lo fa vincendo ad Atene, in casa dei rivali dell’AEK, in una finale che entra nella storia greca dopo Euro 2004 ma che non verrà certo ricordata per le emozioni visto che le due ore di gioco sono sembrate interminabili.
La Fiorentina di Vincenzo Italiano, dopo le due finali perse del 2023, si è praticamente snaturata nel cercare di non prendere gol. Missione fallita, ancora una volta la sconfitta è arrivata in maniera beffarda nei minuti finali. Una sorta di marchio di fabbrica di questo ciclo con il tecnico ex Spezia e Trapani. Eppure non c’è niente di uguale nelle sconfitte che i viola hanno collezionato in questi anni, se non una sorta di tradizione che accompagna ogni appuntamento importante.
La delusione tra Atene e Firenze
La finale anche quest’anno si è giocata in due luoghi, tanto distanti quanto vicini. Trasferta difficile, logistica al limite dell’impossibile per far partire 9.000 fiorentini da una città senza voli charter, ciononostante tutti hanno voluto esserci. Ognuno a modo suo: chi a casa, chi al Viola Park, tantissimi al Franchi con uno stadio stracolmo per una partita che non c’è. È uno dei tanti paradossi di una città cosmopolita che diventa paese per seguire la propria squadra. Una sorta di liturgia laica ormai accompagna questi eventi, sconfitte comprese. Già, le sconfitte.
La sindrome da eterni secondi
Se Vincenzo Italiano rischia di diventare famoso quanto Raymond Poulidor per i secondi posti, tre in due anni, con le semifinali di Coppa Italia e Supercoppa arriva addirittura a quota 6 piazzamenti in sole tre stagioni, la Fiorentina sa bene quanto male fa perdere. Nella sua storia non sono mancate le vittorie, mai numerose quanto le delusioni.
Per questo raccontare una sconfitta è arte diversa dalla celebrazione dei vincitori e degli eroi. Diversa e meno comoda. Ad esempio ben pochi sanno che la Fiorentina è la quarta squadra italiana - dietro a Juve, Milan e Inter - per numero di finali europee: prima italiana a giocarsi la Coppa dei Campioni contro il Real a Madrid, prima squadra assoluta a vincere la Coppa delle Coppe per poi perderla l’anno successivo, nel 1990 ci fu la famosa doppia sfida con la Juve, con tanto di ritorno in casa ad Avellino, mentre lo scorso anno è arrivata la sconfitta contro il West Ham. Sei finali Uefa e cinque sconfitte, di cui due consecutive. Come il Benfica dieci anni fa.
Una partita brutta, una Fiorentina irriconoscibile
In tutto questo una partita quasi inutile da raccontare. Alla vigilia la sensazione era che la Fiorentina avesse le possibilità di vincerla e forse nei primi quarantacinque minuti poteva accadere: Terracciano è protagonista due volte su Podence, ma sono i viola ad avere le occasioni migliori prima con il gol annullato per fuorigioco di Milenkovic e poi con il tiro (troppo debole) di Bonaventura che meritava migliore fortuna. La fortuna però è solo un costrutto mentale, la realtà è che i viola giocano una partita dove non sono loro stessi. Non si vedono tracce di quella squadra costruita sul possesso di palla e sui cross dal fondo e nel secondo tempo arriva solo un’occasione per parte: Kouamé sbuccia un tiro che Tzolakis riesce comunque a deviare, mentre Iborra sfiora il gol su colpo di testa. Si arriva al novantesimo sullo 0-0 e con la consapevolezza che i giocatori più talentuosi – Nico Gonzalez, Arthur Melo e Jack Bonaventura – abbiano perso la loro occasione per incidere. Quasi non importa chi entra e chi esce nella girandola dei cambi tanto che nei supplementari tutto sembra essere pronto per la ripetizione del dramma, inteso nella sua concezione di componimento teatrale che sviluppa essenzialmente una vicenda dolorosa. Esorcizzare la rete di Bowen al 90° non serve a niente, il temuto (e quasi mai visto) El Kaabi appare al momento giusto per segnare tra proteste e Var. Impossibile cambiare il destino di una tragedia. Non vanno d'accordo il ragionamento e la fretta, scriveva Sofocle, e nei 180 secondi prima della fine c’è il tempo anche per mancare l’1-1 con Ikoné. Niente da fare, nemmeno i rigori per ribaltare la sorte. Al Franchi gli oltre 30.000 presenti ne erano già consapevoli: nessuno esce arrabbiato, la rassegnazione fa svuotare l’impianto in pochi minuti.
Vincere la paura di vincere
Poulidor era diventato una leggenda in quanto falliva sempre per generosità o per sfortuna, ma ad Atene ha vinto solo la nikefobia, la paura di vincere. Un paradosso da cui Firenze deve ripartire per l’ennesima volta, magari con una nuova guida tecnica dato che probabilmente questo ciclo si chiuderà domenica a Bergamo, dove si giocherà un’altra partita di cui non resteranno tracce se non negli almanacchi.