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Boston contro Dallas, l'Nba si prepara all'atto finale

Francesco Gottardi

I Celtics hanno dominato la Eastern Conference, i Mavs hanno scardinato le gerarchie della Western. Non solo Tatum e Doncic: tra protagonisti e identità di gioco, a contendersi l’anello saranno le due squadre che meglio hanno saputo soffrire (soprattutto nei finali di partita)

Sarà la finale annunciata. Non tanto perché Dallas e Boston erano le favorite ai nastri di partenza (anzi, i Mavericks non lo erano affatto). Ma in virtù di come entrambe vi sono arrivate: spazzando via gli avversari e spezzando quell’equilibrio Nba che fino a qualche settimana fa regnava sovrano. A Est l’hanno rotto i due Jayson (Brown e Tatum). A Ovest “Batman e Robin”: parola di Doncic, che si accolla il ruolo di supereroe minore pur di esaltare le prodezze sul parquet del compagno Irving. Hanno chiuso con 36 punti a testa, Luka e Kyrie, nella partita decisiva che ha eliminato i pompatissimi – e forse pure un po’ spompati, dopo l’impresa su Denver – Minnesota Timberwolves. Intanto i Celtics aspettavano già dal divano: finora tutto fin troppo liscio.

Era dai tempi del duopolio Cleveland-Golden State (2015 e 2017) che le finali di Conference non si risolvevano così presto e nettamente. Boston ha rifilato un bruciante sweep – cappotto, in gergo Nba – agli Indiana Pacers, che hanno pagato oltremisura (infortunio muscolare di Haliburton) ciò che li aveva spinti fino all’ultimo atto (forfait dei fuoriclasse altrui). Dallas invece ci ha messo una gara in più (4-1) per battere Edwards e soci, ma non aveva il vantaggio del fattore campo. Sarà così anche alle Finals, al via venerdì prossimo al TD Garden e potenzialmente in programma fino al 23 giugno. Boston ne ha vinte 17 su 22 apparizioni, Dallas soltanto una su due. Oggi conta solo il presente. Per questi Celtics è una rivincita contro sé stessi, dopo il ko di due anni fa per mano dei Warriors. Per questi Mavs, una novità assoluta: soltanto Irving e coach Jason Kidd annoverano almeno un assalto all’anello in carriera (vincendolo, l’uno nel 2016 e l’altro sempre a Dallas da giocatore).

Non è un caso. Se Doncic davanti ai microfoni – scherzi a parte, chiamandolo “vecchietto” – esalta l’alchimia con Irving è perché lo sloveno rappresenta quanto di più simile a LeBron (di cui Kyrie è stato il più efficace e fidato sparring partner). L’ha detto pure il suo allenatore, tra i più fini playmaker di sempre: “L’intelligenza cestistica di Luka è fuori dal comune. Può prendersi e segnare qualsiasi tiro. Passa la palla come nessuno. Magari non difende ancora come James, ma ora il suo peso specifico ricorda quello di LeBron nei Lakers campioni”. Per questo Dallas si giocherà le sue carte fino in fondo. Il 25enne Doncic sforna il miglior basket della sua precoce carriera, c’è un secondo violino all’altezza e pure il resto dell’orchestra se la cava: Gafford e Lively dominano sotto canestro, Derrick Jones è il difensore silenzioso di cui tutti avrebbero bisogno. Ciò che era mancato un anno fa, insomma, quando i Mavs non raggiungevano nemmeno i playoff. E dal flop sono ripartiti. Senza mai allungare una serie oltre gara-6: fosse contro l’esperienza dei Clippers, la freschezza dei Thunder o dei T’Wolves. “I Celtics sono soltanto un altro ostacolo”, li sfida Irving da ex di turno.

Perché Boston, invece. È la squadra col miglior record assoluto (64-18 in regular season, 12-2 in questi playoff). È profonda, ben organizzata e sotto la guida di coach Mazzulla – nel Massachusetts da cinque anni, gli ultimi due da capo-allenatore – ormai gioca a memoria. Oltre ai due big sta ricevendo tanto da White e Horford, che fa tutto fuorché invecchiare. E da Jrue Holiday in fase di marcatura: al 4 biancoverde l’arduo compito di limitare Doncic. Durante il cammino Boston si è presa la rivincita sui Miami Heat – che l’avevano estromessa dalla scorsa finale –, per poi regolare Cleveland e Indiana senza mollare di un centimetro. È la tenuta mentale nel punto a punto il vero dato in comune fra Celtics e Mavs: entrambe, nelle rispettive finali di Conference, hanno strappato tre partite su quattro con 5 o meno punti di scarto. Ci vorranno le palle, per vincere questa Nba.

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