Il Foglio sportivo
Il Milan allergico agli italiani. Ma la storia insegna sempre
Anche la statistica boccia gli allenatori stranieri in Serie A. I rossoneri però guardano all'estero, e non solo per la panchina
Carlo Ancelotti è il miglior esempio di come in panchina il made in Italy sia sinonimo di successo in tutto il mondo. In Serie A le statistiche raccontano che sia un requisito quasi indispensabile per vincere lo scudetto. Nella storia del nostro campionato hanno vinto solo 17 tecnici stranieri e negli ultimi quarant’anni ci sono riusciti solo in quattro: Liedholm. Boskov, Eriksson e Mourinho che nel 2010 è stato l’ultimo a farcela. Neppure il fratello gemello arrivato sulla panchina della Roma ha potuto imitarlo.
L’italian sound funziona meglio in Serie A. Lo racconta la statistica che certe volte può essere più utile degli algoritmi per fare le scelte. Eppure il Milan nella lista dei candidati alla panchina ha inserito solo nomi stranieri, ma non gente alla Klopp per intenderci, piuttosto tecnici dal curriculum tanto sballato da riuscire a scatenare lo sciopero dei tifosi e a far riemergere il canto Pioli is on fire che era ormai passato di moda. L’amore era finito da tempo ma il ricordo lasciato dal tecnico di Parma resterà per sempre nei cuori rossoneri per il valore dell’uomo oltre che per lo scudetto dei miracoli. Proprio perché si era deciso da tempo di cambiare comandante, la scelta del sostituto avrebbe potuto essere diversa da quella di Lopetegui (esonerato dai tifosi ancora prima dell’ingaggio) o di Fonseca che in Italia non ha certo lasciato un ricordo indelebile e non è, come qualcuno vuole far credere, una scommessa alla Sacchi o alla Capello.
Soprattutto non è chiaro perché il Milan voglia a tutti i costi parlare straniero quando là fuori era pieno di allenatori italiani con una grande storia (Antonio Conte), di ottima prospettiva (Roberto De Zerbi) o dalle qualità indiscusse (Maurizio Sarri). O almeno di allenatori stranieri, ma di scuola italiana come Thiago Motta scelto dalla Juventus. La storia e i consigli di un vecchio guru come Arrigo Sacchi non sono serviti a nulla. La strana coppia Furlani-Ibrahimovic ha tirato dritta per la sua strada verso la scelta straniera, senza un guizzo di quell’originalità che aveva fatto la fortuna di un’altra coppia, magari pure strana, ma di sicuro successo, come quella formata da Berlusconi e Galliani. Anche loro erano caduti nel tranello ingaggiando Tabarez o Terim, ma la storia l’hanno scritta con Sacchi e Capello e un pezzettino pure con Zaccheroni.
Non passa l’italiano sembra il motto preferito dal Milan di Cardinale. Anche in campo gli italiani in maglia rossonera sono una rarità: non vedere neppure un milanista tra i convocati da Spalletti fa una certa impressione. Eppure anche in questo caso ci sarebbe un esempio di successo da seguire, quello dell’Inter costruita da Marotta su uno zoccolo duro di giocatori italiani che poi guarda caso, sono anche l’ossatura della nazionale azzurra.
Il Milan degli olandesi non avrebbe vinto nulla senza quegli italiani. Certo Baresi, Maldini, Costacurta, Galli e poi Albertini erano fuoriclasse, ma qualcosa la storia insegna sempre. Affidandosi a computer, algoritmi o strani preconcetti si finisce con cambiare strada anche quando non ce n’è bisogno e l’ingorgo segnalato è solo una bufala.