Carlo Bacarelli - foto Wikipedia

1924 - 2024

I silenzi di Carlo Bacarelli, che preferiva fossero le immagini a parlare di sport

Davide Perillo

Il pioniere toscano della telecronaca sportiva è stato protagonista di molte "prime volte" Rai: dalla prima partita di calcio mai trasmessa dalla tv pubblica ai primi Mondiali in Eurovisione del 1954. Il ricordo in occasione dei cent'anni dalla sua nascita

A quale voce pensate se mettete assieme la tv, la Nazionale e quelle prime partite in bianco e nero, dove ritmi e spazi sembrano venire da un altro sport e l’unica cosa in comune con il calcio di oggi è un pallone che rotola (piano)? Se avete risposto Nicolò Carosio è normale. Ma non è esatto. C’è stato un altro pioniere prima di lui. Si chiamava Carlo Balilla Bacarelli, toscano di Campi Bisenzio, nato esattamente cent’anni fa (il 5 giugno del 1924), scomparso nel 2010. E detentore di una fila di record che ne fanno un protagonista della storia della televisione, anche se nessuno, o quasi, lo ricorda più: la prima partita della Nazionale in tv; la prima partita in assoluto trasmessa dalla Rai; i primi Mondiali in Eurovisione. E, fuori dal calcio, la prima “Domenica sportiva”, il primo notiziario… Su, fino al primo tentativo di cronaca in diretta di un evento. Era il Carnevale di Torino del 1950. Le telecamere erano issate su una scala dei pompieri. E la voce che arrivava agli spettatori, assiepati davanti ai televisori piazzati nelle vetrine della Stampa, era la sua: Carlo Bacarelli, il protocronista.
 

Un innovatore travestito da travet, con quelle giacche e cravatte d’ordinanza che in bianco e nero si assomigliavano tutte. Voce impostata, dizione perfetta, sguardo sornione alla Alberto Sordi, il Bacarelli eroico di quei primi anni (poi finirà a Rai Sport Lombardia) lo si può incrociare in un qualche rara immagine delle Teche Rai. In particolare, in un’intervista del 1964 rispolverata da quello che, di fatto, è diventato uno degli storici più preziosi della tv italiana. Si chiama Pino Frisoli, lavora a Rai Sport, si orienta come pochi tra le pepite nascoste nell’archivio della tv di stato ed è autore, assieme a Massimo De Luca (volto noto di Rai e Mediaset), di “Sport in tv” (Rai-Eri), una bibbia della materia che vorremmo ristampata. La scorri, assieme a quei pochi minuti di testimonianza in tv, e affiorano le tappe di un percorso d’avanguardia affascinante.
 Bacarelli lavora alla radio quando, nel 1949, gli chiedono di dedicarsi ai primi esperimenti di telecronache. “Si trattava di sondare la telegenia dei diversi generi, e lo sport era uno dei più interessanti”, raccontò lui stesso. Due funzionavano meglio di altri: la boxe e la lotta. “Si facevano su un ring, e le attività su un’area ristretta erano adatte alla tv”. Dato che la futura Rai non aveva una squadra di ripresa in esterni, fu lui a convincere un paio di organizzatori a portare i loro pugili nello Studio C, sotto la Mole. Era l’antipasto della prima partita di calcio vista in Italia, il 5 febbraio 1950: Juventus-Milan, al Comunale. Telecronaca, appunto, di Carlo Bacarelli. Finì 1-7 per i rossoneri, con Parola che perse la testa e “sferrò un calcione clamoroso a Nordahl, che lo stava facendo impazzire”, raccontò il cronista a Frisoli. Ma la novità più interessante di quella giornata, per lui, fu un’altra. “Si giocava in un pomeriggio di nebbia: vedevo figure vaghe. Allora commentai guardando il monitor e mi accorsi che l’occhio elettronico è più sensibile di quello umano.
 

Fu una grande scoperta, pose le basi della grammatica televisiva: il telecronista deve raccontare quello che vede sul monitor perché corrisponde a quello che vede il telespettatore”. 
Tutto questo accadeva tre anni prima della nascita ufficiale della Rai, il 3 gennaio 1954. “Quella è una data convenzionale”, spiega Frisoli: “Ma non è che prima ci fosse il nulla: le trasmissioni erano già partite, i palinsesti si stavano formando”. Nella corsa a quelli che solo poi si chiameranno format, Bacarelli è sul pezzo. E’ negli studi milanesi di Corso Sempione quando parte il primo notiziario sperimentale, il 12 aprile 1952, in occasione della Fiera Campionaria. È la voce della partenza e dell’arrivo del Giro d’Italia 1953, l’ultimo vinto da Coppi. E’ la mente e il volto di una trasmissione che farà storia, e che nasce l’11 ottobre 1953 (tre mesi e 12 puntate prima di vederla tra i programmi della giornata che inaugurò la Rai): la “Domenica sportiva”. E dieci giorni dopo, il 21 ottobre, è sempre lui a sedersi accanto al già celebre Carosio (da anni voce azzurra della radio) per raccontare ai telespettatori un allenamento della Nazionale a San Siro. Lo stesso Carosio, anni dopo, spiegò che si scambiarono queste indicazioni: “Bisogna guardare in video e poi parlare come in una radiocronaca, ma senza troppi dettagli, perché si vede tutto”.
 

Altre prove di grammatica televisiva. Perfezionate il 13 dicembre dello stesso anno, con la prima partita vera degli Azzurri in tv: Italia-Cecoslovacchia, a Genova. Finisce 3-0, in diretta va solo il secondo tempo: la differita (ottenuta grazie al vidigrafo, che registrava su pellicola quello che passava sullo schermo) andrà in onda la sera, alla “Domenica sportiva” (in mezzo, Arrivi e partenze e l’esordio in tv di un giovanotto che farà strada: Mike Bongiorno). Ma la voce era sempre la sua, di Bacarelli. 
Peccato che di tutto questo, negli archivi, resti solo qualche spezzone muto (“la voce allora non si registrava”, si rammarica Frisoli). Ma anche dei primi Mondiali in eurovisione, giugno 1954, a Rai ormai sdoganata da sei mesi, non rimane molto. Si sa solo che le telecronache dell’Italia finirono proprio a Bacarelli, affiancato come seconda voce da Vittorio Veltroni, papà di Walter e tra i padri fondatori della tv di stato. Come raccontò lo stesso cronista a Frisoli, “la tv era un fenomeno poco considerato, tutti pensavano non avesse futuro. E io diventai voce di quei Mondiali soltanto perché Carosio e Giuseppe Albertini (che collaborava anche per l’emittente svizzera) preferivano la radio. Ai microfoni di Svizzera-Italia andai con Veltroni; a me la cronaca, a lui il commento”. Come? “Cercavo la massima chiarezza, eliminando ogni parola superflua: sognando di accompagnare le immagini con una sorta di didascalia sonora. Così scandivo i nomi dei giocatori che calciavano la palla e illustravo sinteticamente quel che le telecamere non potevano inquadrare. Durante le pause di gioco cedevo il microfono a Veltroni per un giudizio tecnico”. Fosse stato per lui quella nuova grammatica del racconto, che cercava la misura giusta tra video e voce, avrebbe dovuto pendere nettamente verso il primo, pure a costo di lunghi silenzi. Lo teorizzò, anche, durante un altro evento entrato nella storia.
 

Era il 26 novembre 1955, Milano, Campionato europeo dei pesi leggeri. Sul ring, Duilio Loi e Séraphin Ferrer. Bacarelli fa una telecronaca che oggi suonerebbe surreale: semplicemente, tace. Interviene solo dopo ogni gong. E lo fa quasi scusandosi: “Eravamo tentati, durante il round, di interrompere per segnalare un fatto nuovo…”. Altri tempi, certo. Eppure, fu proprio dopo gli Europei di tre anni fa che Aldo Grasso se ne uscì con un giudizio secco: “Le telecronache migliori sono state quelle in cui si è parlato di meno”. Aveva ragione Bacarelli?

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