Foto GettyImages

Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Spalletti da qui all'eternità. La strada per centrare la gloria

Alessandro Bonan

Il ct azzurro ha portato a Coverciano i cinque numeri 10 che hanno fatto la storia del calcio italiano, invitando il gruppo a prendere ispirazione da quei modelli. Talento, mistero e quotidianità compongono la sua filosofia di gioco (e di vita) 

In ognuno di noi c’è un seme dell’ambizione, anche in quelli che ogni giorno pregano di non avere alcun problema, e come aspirazione massima sperano in una vita vissuta nella pace, nel silenzio, rifuggendo dal rischio dell’imprevedibile: perché anche quella è un’ambizione. Poi ci sono le persone come Jannik Sinner, che immaginano di diventare il massimo, l’acuto, la vetta, il sole, e oltre il sole, l’infinito, l’eternità. E lo ritengono un fatto quasi scontato, tanto da pensarlo e dichiararlo da ragazzini, nell’età in cui, solitamente, si fa fatica a distinguere la differenza tra una promessa e una bugia. Quelli come “il rosso di San Candido”, non escludono l’imponderabile, ma se lo dovessero incontrare, lo guarderebbero negli occhi come un indiano Saperas, l’incantatore di serpenti. Il ghiaccio nelle vene raffredda la paura, la rende sbigottita e inutile. 
Quando Sinner ha saputo di essere diventato il numero uno del mondo, davanti alla folla, in una di quelle situazioni dove non puoi saltare di gioia e nemmeno vergognarti un po’, si è guardato intorno, dipingendo la cornice del suo quadro, con un sorriso compreso tra il timido e l’assoluto, per nulla sorpreso, quasi ironico, come a sottolineare con quella faccia birichina, “avete visto? Io ve l’avevo detto”. 

Un po’ di tempo fa, Luciano Spalletti, aveva convocato Sinner per mostrarlo ai suoi giocatori. “Questo è il modello”, aveva detto riassumendo, il nostro ct, “prendiamolo tutti come un esempio”. In questi giorni che precedono la spedizione europea, Spalletti ha nuovamente premuto sopra lo stesso tasto, quello dell’ambizione, portando nel ritiro azzurro i cinque numeri 10 che hanno fatto la storia del calcio italiano: Rivera, Antognoni, Baggio, Totti e Del Piero. Ha spostato l’attenzione verso l’alto, dando un messaggio chiaro al gruppo, invitandolo a coltivare la massima delle aspirazioni. Non ha indugiato sul lavoro (troppo scontato, avrà pensato) ma sul talento, e la distinzione è parecchio importante. Il talento appartiene al mistero, il lavoro alla quotidianità. Sinner è un concentrato di talento e abnegazione, di mistero e quotidianità. 
È un uomo solo dentro un campo perché a tennis non ci sono compagni a tirarti su nel momento in cui le cose vanno male. Il calcio, espressione collettiva, rende vicine le distanze caratteriali, corregge i difetti, ma non cancella la centralità dell’uomo, e proprio per questo il confronto tra il solitario Sinner, i cinque numeri 10 e tutta la squadra degli azzurri, ha trovato la sua piena giustificazione.

Spalletti ha voluto indicare una strada, forse una luce da seguire senza perdersi nei soliti discorsi. Per cercare la gloria non devi accontentarti della notorietà, ma sforzarti di essere il migliore. Un’ambizione forse detestabile, ma senza la quale ogni sforzo non conduce all’obiettivo dell’eternità.

Di più su questi argomenti: