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Il Foglio sportivo

Tutto in 5 secondi di arrampicata, che rischiano di essere troppi

Bernardo Cianfrocca

La sfida di Zurloni nella speed: “Amo l’adrenalina che ti dà questo tipo di gare veloci”. Le parole del campione del mondo 2023
 

Le scarpette adatte, le ginocchiere, il nastro adesivo sulle dita, una spruzzata di magnesite, l’imbragatura. Una preparazione minuziosa, molto più lunga dello sforzo per cui è richiesta. “Io amo la speed proprio per l’adrenalina della durata breve, dello scontro con l’avversario, per la soddisfazione dell’arrivare prima”.
Matteo Zurloni, atleta delle Fiamme Oro di 22 anni, non ha paura del fatto che il lavoro di una vita dipenda da appena 5 secondi. Anzi, è una prospettiva che lo gasa, a tal punto da essere diventato campione del mondo nel 2023.

Eppure 5 secondi rischiano quasi di essere troppi. Nella specialità speed dell’arrampicata sportiva il record del mondo è stato abbassato a 4”79 da Samuel Watson. Zurloni, detentore del primato europeo con 5’03”, ha registrato anche 4’95”, tempo non riconosciuto perché non arrivato in una competizione internazionale, ma in una sfida di Coppa Italia nella palestra “Big Walls” di Brugherio. Dove si allena da anni, quasi tutti i giorni, sulla solita parete alta 15 metri: è quella sulla quale deve arrampicarsi, con l’avversario accanto, per salire e suonare prima di lui il pulsante che fa fermare il cronometro.
Una sfida in verticale di velocità, diversa dalle specialità lead e boulder. A Parigi sarà gara singola, non incorporata alle altre due tipologie come a Tokyo, edizione in cui l’arrampicata ha esordito alle Olimpiadi. “Una grande fortuna. Prima che un atleta, io sono un amante della speed. L’ho iniziata casualmente, sono stato quasi un autodidatta, ma è scattata la passione e mi sono focalizzato solo su quella”. Un’intuizione tanto fortunata quanto vincente: “Ho scoperto l’arrampicata a 5 anni, durante le vacanze in Val di Fassa con la famiglia. Tornato a casa (Cassano d’Adda), ho voluto continuare. Soltanto a 16 anni mi sono specializzato, mi chiamarono in Nazionale e per la speed non c’era nessuno, così mi scelsero. All’inizio era vista con diffidenza, ma gareggiando in competizioni più serie e collezionando tempi sempre più bassi, è nata la scintilla. All’inizio mi esercitavo solo per evitare brutte figure, ora invece conosco i record personali di ogni avversario”.

Avversari che sono stati i suoi primi maestri: “Quando ho iniziato c’era carenza di allenatori specifici. Per questo ho curato prima di tutto la parte fisica, la forza, l’esplosività e ho sempre osservato i movimenti dei miei rivali per rubare i loro segreti. Adesso il numero di formatori è aumentato e questo mi sta permettendo di curare molto di più la tecnica. Averla significa trovare una base solida su cui lavorare, un equilibrio che permette di dosare e migliorare la velocità. Sapere come prendere un appiglio o con quale angolo poggiare il piede per avere più spinta sono dettagli rilevanti”. Un miglioramento meticoloso portato avanti con il suo allenatore Stanislao Zama e con Vincenzo De Luca, direttore tecnico della Nazionale di un movimento in grande crescita. La Fasi (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana) ha stimato 85mila tesserati nel 2024, a fronte dei 15mila nel 2010 e deSi 46mila nel 2021. Zurloni, cresciuto di pari passo con la notorietà della disciplina, lo nota nel quotidiano: “Ormai per venire in palestra non si trova più parcheggio”, dice ridendo. “Voglio far conoscere questo sport, per questo alleno già i bambini. Mi piace che vivano le mie stesse emozioni. Inoltre, insegnando loro i movimenti e le sequenze, scompongo con la mente ciò che faccio di solito”.
Questa costante ricerca della perfezione gli consente di presentarsi all’Olimpiade da campione del mondo. “Ho la consapevolezza di potermela giocare, ma senza pressione. Conosco la qualità dei miei rivali”. In che caso tornerebbe soddisfatto? “Torno soddisfatto, punto”. Lo dice con certezza: “Qualsiasi cosa accada a Parigi, so che non mi butterei giù o non mi esalterei”. La sola prospettiva di partecipare lo elettrizza. Lo testimonia il recente tatuaggio sul braccio sinistro: il simbolo olimpico con un appiglio al posto di uno dei cinque cerchi.

Prima delle medaglie, conta competere. Al Mondiale di Berna ha vinto la finale per una falsa partenza dell’avversario e subito per consolarlo gli ha alzato il braccio in segno di trionfo: “Era un modo per celebrarlo, ci eravamo qualificati entrambi per i Giochi. Ero felice del successo, ma anche dispiaciuto. Avevo tanta energia da sprigionare”. Vedendolo allenarsi, si nota come quest’energia non gli manchi mai: “Una volta ho fatto 56 salite di fila, volevo scendere sotto i 5 secondi e non ci sono riuscito”. Almeno in quell’occasione. “Beh, al record di Watson negli ultimi tempi mi sono avvicinato...”.

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