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L'Italia dell'atletica, bella perché di tutti, saluta Vannacci dalla cima del podio

Giovanni Battistuzzi

Il segreto dei recenti successi dell'atletica leggera agli Europei? Siamo meno sedentari e più aperti. E dopo la rassegna continentale gli Azzurri cercheranno di ben figurare alle Olimpiadi

Se c’era una cosa certa, almeno sino a qualche anno fa, è che nell’atletica leggera l’Italia non vinceva quasi mai. Erano emozionanti le medaglie assegnate a Europei, Mondiali e Olimpiadi perché erano poche e, marcia a parte, poco pronosticate o pronosticabili. Vivevano di momenti gli italiani quando c’era da correre, saltare e lanciare. 

Poi qualcosa è cambiato. E ora quasi non ci si crede di essere i più forti d’Europa, o almeno tra i più forti d’Europa. E non ci si crede perché non è mai stato così, perché i Pietro Mennea, le Sara Simeoni, le Fiona May, gli Eddy Ottoz erano l’eccezione, non la regola e quelli con la canotta azzurra inseguivano, difficilmente erano inseguiti. 

E’ da qualche tempo che sul podio di Europei e Mondiali quelli con la canotta azzurra invece ci salgono con una certa frequenza. Specie agli Europei di Roma 2024. L’Italia prima nel medagliere era utopia fino a qualche anno fa. E’ diventata realtà

E tutto questo grazie anche a quella generazione che è considerata la più pigra, sedentaria e smartphone dipendente tra tutte le generazioni. 

Possibile? Possibile. 

Perché forse è vero quello che dicono i matusa, che i giovani sono per lo più pigri e smartphone dipendenti – chissà – ma forse non sono poi così sedentari. Dicono i numeri dell’Istat che è vero che sono aumentati i giovani (sotto i 16 anni) che non hanno mai praticato alcuno sport, ma è vero pure che è aumentato il numero di persone che lo praticano regolarmente. Semplicemente sono diminuiti i ragazzi che lo praticano saltuariamente: insomma o si fa sul serio o non si fa niente. Questione di motivazioni forse. 

Sono aumentati anche i ragazzi che si dedicano all’atletica leggera e il motivo, oltre al buon lavoro fatto dagli ultimi due presidenti, Alfio Giomi e Stefano Mei oltre che dai loro segretari federali (ossia Paolo Bellino, Fabio Pagliara e Alessandro Londi), è anche uno dei rari aspetti positivi della crisi economica del 2008: è da allora che il numero di persone che corrono è aumentato. Secondo i dati forniti dal Parlamento europeo, negli ultimi quindici anni il numero di persone che praticano regolarmente attività fisica in Italia è aumentano del 13 per cento, quello dei podisti di oltre il 20 per cento. L’aumento più rilevante è nelle fasce d’età tra i 10 e i 15 anni (più 45 per cento) e tra i 30 e i 40 anni (più 39 per cento). Due sono le motivazioni principali: il costo d’accesso è minore e i benefici nel breve periodo sono maggiori. 

Naturalmente un aumento dell’attività fisica nei ragazzini non porta necessariamente a un miglioramento del medagliere delle principali competizioni internazionali. E’ necessario un sistema capace di incanalare il talento dentro organizzazioni sportive capaci di formarlo e renderlo performante. 

Serve soprattutto aprire il più possibile l’accesso allo sport a tutti e il prima possibile. 

Lo spiegò al Senato americano il premio Nobel per la Medicina Salvatore Edoardo Luria nei primi anni Settanta: “Pensare a una società chiusa è quanto di più pericolo per il paese (il biologo torinese era in America dagli anni Quaranta). Per assicurarsi la continuità del progresso serve aprire il più possibile le porte del nostro paese sia per quanto riguarda l’élite scientifica che per tutto il resto della popolazione. Basta tenere a mente cosa accade nello sport: amiamo tanto i nostri campioni, ma i nostri campioni non sono altro che rappresentanti di una società che, a volte nonostante le leggi, anima il paese”. E questo indipendentemente dai Vannacci di ora e di ieri.

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