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in Germania

Euro 2024. La grande occasione di Steve Clarke, il secondo diventato primo

Marco Gaetani

Dopo una carriera da giocatore in cui era stato una bandiera minore di un Chelsea lontano dagli allori dell’era Abramovich, il ct scozzese ha fatto a lungo il viceallenatore. In Germania vorrebbe portare la Scozia alla fase a eliminazione

C’è un filo che lega José Mourinho e Gianfranco Zola, Ruud Gullit e Avram Grant, Felipe Scolari e Kenny Dalglish. Già da qualche anno, Steve Clarke si è tolto l’etichetta di eterno secondo: se l’è portata dietro per più di un decennio, dopo una carriera da giocatore in cui era stato una bandiera minore di un Chelsea lontano dagli allori dell’era Abramovich: si era goduto, però, l’antipasto di quello splendore, vincendo tre trofei nelle ultime due stagioni con gli scarpini ai piedi, con Gullit prima e Gianluca Vialli poi.

Per la seconda volta consecutiva, Clarke avrà la possibilità di allenare la Scozia nella fase finale di un Europeo: sarà anche l’ennesimo tentativo di superare la fase a gironi. È una sorta di risarcimento del destino: da calciatore aveva sfiorato la convocazione a Italia 1990, dopo essere stato incluso nell’elenco dei 26 che avevano partecipato al camp di Genova a febbraio, e nel 1998, proprio a fine carriera. La qualificazione a Germania 2024 è arrivata grazie a un girone di qualificazione granitico, un gol subito nelle prime sei partite, un centrocampo denso e una fase offensiva essenziale, ridotta all’osso, ma comunque pungente. All’Europeo mancherà però Lyndon Dykes, prima punta che sembra uscita dal calcio di quarant’anni fa, un colosso pronto a ingaggiare duelli con chiunque: “Ma con me in panchina, i ragazzi sanno di essere tutti uguali: lasciano da parte il proprio ego e si mettono al servizio della squadra”.

Clarke si era guadagnato la chiamata da commissario tecnico con il lavoro svolto al Kilmarnock, la squadra per cui faceva il tifo da bambino: l’aveva presa all’ultimo posto in classifica e portata in quinta posizione, completando il capolavoro con la terza piazza dell’anno successivo. Non è un uomo che parla tanto, Clarke, risulta schivo persino con i suoi giocatori, lasciando che a parlare per lui sia il lavoro sul campo. “Ho giocato titolare con lui per 18 mesi ogni volta che il fisico me l’ha consentito, ma non so ancora dire se gli piacessi come calciatore”, ha detto di lui, scherzando, Stuart Findlay, che lo ha avuto proprio al Kilmarnock. Il suo modo di allenare è stato contaminato dai tecnici con cui ha lavorato nel corso degli anni: gli è capitato spesso, negli anni al Chelsea, di occuparsi in prima persona dell’organizzazione degli allenamenti dei Blues, in maniera metodica e creativa.

“In questi quattro anni abbiamo riportato la nazione e i tifosi dalla nostra parte. Loro vogliono vedere una nazionale competitiva contro tutti. Non pretendono necessariamente che si vinca, ma credo che pretendano che si sia competitivi. E quello che abbiamo ora è un gruppo molto competitivo che vuole sempre il meglio per il proprio Paese. La Tartan Army lo vede, lo sente, e ci sta sempre vicino”, ha detto qualche giorno fa, alla vigilia di un torneo che sarà aperto proprio dal match tra la Scozia e la Germania, sicuramente la sfida più difficile di un girone in cui le speranze di qualificazione non sono affatto ridotte al lumicino, soprattutto per una squadra che nel percorso di avvicinamento ha anche saputo battere la Spagna ad Hampden con la doppietta di McTominay. Per molti, la migliore partita giocata dalla Scozia nell’ultimo decennio.

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