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Euro 2024

Italia-Albania, quello che c'è da sapere sui primi rivali degli Azzurri

Enrico Veronese

I punti forti, i punti deboli, le stelle e le sorprese della Nazionale albanese allenata da Sylvinho

C’è un motivo per cui Gianluigi Donnarumma, in conferenza stampa, ha dichiarato che “la gara con l'Albania rappresenta varie insidie. Sono rapidi in contropiede e giocano bene, non possiamo dare il 70-80 per cento, sappiamo di poter vincere anche al 90° minuto". L’ha detto perché è vero, ed è bene saperlo in anticipo: la prima partita sarà la più difficile e forse la più bloccata, se non succede qualcosa subito. L’inerzia prolungata infatti giocherebbe a favore della squadra in maglia rossa; e poi c'è l’orgoglio di rappresentare i tanti tifosi emigrati in Germania: rispetto agli Azzurri, di più datato espatrio, i fan delle Aquile tra gli spalti di Dortmund pare saranno molti di più. Come a New York nel 1994, quando molti italiani preferirono vendere i propri biglietti agli irlandesi, lasciando di conseguenza uno stadio quasi interamente verde spingere l’Irlanda alla vittoria.

Analogie di esordi (e di molto altro), che Luciano Spalletti potrebbe augurarsi di replicare con la finale: ma ora non può certo metterci la firma, se accadesse anche mezzo passo falso contro una squadra che non ha niente da perdere. All’Italia potrebbe andare tutto bene, certo: ma come per le politiche di contrasto al Covid, ciò non è affatto scontato, né significa mettere le mani avanti a fronte di incertezze nel modulo, negli interpreti, financo nei convocati dal mister di Certaldo e di tanti altri commissari prima di lui. Le persone scaramantiche ricordano che anche tre anni fa, nell’Europeo itinerante, le considerazioni della vigilia non erano unanimemente lusinghiere verso le scelte di Roberto Mancini, pure reduce da decine di partite senza insuccessi. Poi Ciro Immobile e Lorenzo Insigne spazzarono via la Turchia, Manuel Locatelli regolò la Svizzera, e il lieto epilogo è noto.

Sta di fatto che circa vent’anni fa sarebbe stato impensabile vedere l’Albania qualificarsi alla fase finale di una manifestazione così importante: c’è poi stata per la prima volta in Francia nel 2016, uscendo senza demeriti. La crescita del pallone a Tirana e dintorni passa, nel mondo globalizzato, dagli insegnamenti che proprio allenatori italiani come Edoardo Reja e Gianni de Biasi hanno portato nei centri federali, convocando i figli della diaspora degli anni Novanta, dovunque essi si trovassero: oggi l’undici albanese annovera tra i possibili titolari almeno cinque esponenti radicati nella Serie A, più un paio che ne sono usciti dopo avervi militato per qualche anno. Atleti che conoscono quindi alla perfezione gli avversari di turno, il modo di giocare del loro selezionatore, come far perdere la bussola e la lucidità confidando nel fattore tempo.

Il resto lo dispone Sylvinho Mendes de Campos, già terzino sinistro di Arsenal e Barcelona, soprattutto nello staff dello stesso Mancini all’Inter: brasiliano forse atipico (si sarebbe detto un tempo, ora non più), che schiera una assetto compatto e capace di oscillare tra 4-2-3-1 e 4-3-3 senza cambiare gli interpreti. Primo non prenderle, certo, grazie al muro di Berat Djimsiti fresco reduce dalla vittoria dell’Europa League con l’Atalanta; poi palla al duo di equilibratori, ovvero Kristjan Asllani dell’Inter e Ylber Ramadani del Lecce, registi che difficilmente sprecano un pallone a centrocampo. Quindi prevedibili lanci lunghi per la sponda di Armando Broja, stellina del Chelsea, a chiamare in causa gli inserimenti di Nedin Bajrami (Empoli) e della star delle qualificazioni Jasir Asani, all’ultima chance per dimostrare le sue doti misteriose anche lontano dal calcio sudcoreano, dove si è confinato ventottenne.

Il ct potrebbe stupire scegliendo di affidarsi a Medon Berisha, di cui tutti a Lecce dicono un gran bene dopo lo scudetto Primavera: in fondo, il motto “when in trouble, go big” dovrebbe attagliarsi al calcio tanto quanto a Emmanuel Macron. Di game changer a gara in corso, del resto, la panchina adriatica non ne conta poi molti: a meno di non gettare nella mischia Rey Manaj, che a intermittenza agogna il campionato italiano ma dà il meglio di sé al Sivasspor in Turchia (22 gol quest’anno).

Se c’è un aspetto da considerare seriamente è il modo con cui gli illirici sono arrivati alla fase finale, da primi nel girone – a pari punti con la Repubblica Ceca – frutto di una sola sconfitta e appena quattro gol subìti, terza difesa meno battuta dopo Portogallo e Francia. Di fronte avevano anche la non certo debole Polonia, la quale per passare ha dovuto affidarsi agli spareggi: una missione quindi magari non impossibile, ma che sulla carta avrebbe tranquillamente potuto andare in modo diverso.

Altro discorso dal sorteggio degli abbinamenti estivi con Italia, Spagna e Croazia: ma oggi il calcio albanese non è più una cenerentola e non ha paura di nessuno. Dovesse imbroccare il primo risultato utile, poi ci prenderebbe gusto: e con questo fuoco, passare il turno anche da terzo non sarebbe un miraggio.

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