Foto Ap, via LaPresse 

euro 2024

L'Europeo di Mbappé, intrattenitore e calciatore

Andrea Romano

Il ragazzo venuto da Parigi pare essere più grande addirittura della Francia stessa. A Euro 2024 la sua solitudine si riempirà di una nazione intera

Impossibile fare finta che non si tratti di due entità distinte e solo incidentalmente sovrapponibili. Anche se stasera contro l’Austria scenderanno in campo con la stessa identica divisa. Perché Kylian Mbappé è molto più di un capitano, di un simbolo, di un totem intorno al quale far ballare una squadra. È un uomo chiamato a trascinare al successo una Nazionale di cui non sembra neanche far parte. Perché il ragazzo venuto da Parigi pare essere più grande addirittura della Francia stessa. All’alba del nuovo millennio, quando i calciatori avevano appena iniziato il loro processo evolutivo in superstar planetarie, si sarebbe detto "un’azienda nell’azienda". Ora quel concetto è stato esasperato, dilatato fino all’inverosimile. Mbappé è la prima grande stella in stile Nba applicata al pallone. Non ha tifosi, ma ammiratori, gente pronta a seguirlo e a riempirlo di like a prescindere dalla casacca che indossa, della competizione in cui si destreggia. Un personalismo che sembrava impossibile fino a qualche tempo fa, quando i campioni finivano per innestarsi sul tessuto sociale di una comunità fino a diventarne espressione concreta. Così Maradona è diventato l’uomo del riscatto di Napoli e soprattutto dei napoletani. Messi è stato l’espressione di un club che lo ha salvato da bambino, ma anche di un ideale di autonomia politica a calcistica diventato pensiero filosofico grazie al massiccio uso dei giovani del territorio. Cristiano Ronaldo è stato la risposta dello stato centrale, il correttivo che doveva ristabilire il peso del blasone a suon di gol. Mbappé, invece, è rimasto semplicemente Mbappé: un giocatore straordinario, profeta di un calcio da PlayStation giocato sempre con il tasto dell’acceleratore pigiato.

È una situazione paradossale. Perché sembra quasi conferirgli un ruolo più da intrattenitore che da atleta. A 25 anni Mbappé è già stato tante cose tutte insieme. Accumulatore di scudetti, campione del Mondo nel 2018, barzelletta di mercato (nel 2017 il Paris Saint-Germaina lo ha acquistato dal Monaco in prestito con "diritto" di riscatto a 145 milioni più bonus), strumento di propaganda politica (nel 2022 Macron telefonò al giocatore per chiedergli di rimanere perché particolarmente "importante per tutto il paese").

C’è un verso di Montale che recita: "Ho trovato compagni trovando me stesso". Un aforisma che Mbappé ha ribaltato. In sette anni Kylian è diventato il più bravo, il più mediatico, il più forte, il più pagato, il più ricercato dai fan. La stella con la squadra intorno. Lui non gioca insieme ai suoi compagni. Se li carica sulle spalle, avvicinandoli alla vittoria in cambio di una perpetua condanna al ruolo di comprimari. E proprio per questo Mbappé appare quasi condannato ad apparire sempre solo, come una sorta di John Lennon che stando dentro la band capisce ormai di essere diventato qualcosa di diverso dai Beatles. "Ho perduto la spontaneità dell'essere umano – ha detto Kylian qualche mese fa – pagherei per fare di nuovo quelle piccole cose che sembrano non avere importanza come andare in panificio a comprarmi una baguette". È un malessere incomprensibile per chi non si trova a vivere a quelle altezze, un sentimento che rimanda a quel "La vita non è altro che un rasentarsi di solitudini", scritto da Corrado Alvaro in L’uomo è forte. Eppure, forse, stasera il calciatore più forte della sua generazione potrebbe sentirsi meno solo. Perché c’è una squadra da portare alla vittoria. Una Nazionale che, probabilmente, ha molti meno sostenitori di quanti non ne abbia lui da solo. Ma questa è un’altra storia.

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