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euro 2024

Dove sono finite le bandiere tricolore sui poggioli?

Enrico Veronese

Basta volgere gli occhi ai condomìni per accertarsi che Europeo in sordina sia questo. Sono spariti pure i tricolori dai balconi

È proprio vero che nel calcio non esistono più le bandiere. Le prime a scomparire sono state quelle, metaforiche, costituite dai giocatori per molto tempo in forza agli stessi colori: il mercato globale, le offerte presunte irrinunciabili, la volontà di conseguire obiettivi maggiori hanno spazzato via una tradizione del football novecentesco. Poi quelle degli spalti, mal tollerate dalle norme di polizia, che al massimo le concedono tenute a mano, senza l’opportuno bastone per farle sventolare. Infine, ed è realtà di questi giorni, basta volgere gli occhi ai condomìni per accertarsi che siano campionati europei in sordina: una, al massimo due sparute bandiere esposte in tutta la città, pure un filo celate - forse per pudicizia - in attesa di vento e di progressi costanti.

Buongiorno Italia, buongiorno Albania: è il tempo delle maglie non ufficiali, indossate alla bisogna instant (tanto costano poco), vessillo ambulante in luogo della balconata che fu teatro dei cori nel lockdown. Le bandiere di rappresentanza, tirate fuori dai cassetti ogni due o quattro anni in concomitanza con la partecipazione alle massime kermesse calcistiche, non si portano più: e dire che, dal 2010 in qua, ci sono state anche occasioni drasticamente minori per tifare orgogliosi, date le precoci eliminazioni della Nazionale dalle fasi finali della Coppa del Mondo. Ci si aspettava di veder garrire i tricolori, fare a gara per chi ce l’ha più esteso, entrare nel clima prepartita anche grazie a tali immagini seriali di compattezza unitaria per strada: invece, niente.

Le masse “occasionali” non avvertono più la moda o lo spirito di appartenenza alle feste comandate, dopo la vittoria insperata a Wembley? Gli esiti dello share televisivo direbbero di no, che c’è ancora volontà di azzurro, se non proprio fame. Fatto sta che le insegne ancora giacciono dov’erano state riposte l’ultima volta: nacque tutto nel 1982, con i negozi di stoffe assaltati prima che il presidente Sandro Pertini dicesse “non ci prendono più”. Qualcuno la possiede ancora, la bandiera più che quarantenne, altri rimediarono negli anni di Azeglio Vicini, di Arrigo Sacchi (bandieroni verticali a scendere dai caseggiati, durante l’eterno dentro o fuori con la Nigeria), di Marcello Lippi: verdi differenti, rossi sbiaditi, un patchwork che riflette l’imperfezione disordinata lungo tutto lo Stivale. Erano parte del mito della calda e straordinaria estate italiana, immortalata in film e canzonette, scatti d’epoca e pubblicità, Toto Cutugno e Paolo Rossi: alzando gli occhi al cielo, nel 2024, pare ci siano più colori ucraini per solidarietà, o dove abitano le stesse persone immigrate, che non quelle di casa. Strano, nell’epoca dell’empowerment internazionale di Giorgia Meloni, riscontrare meno patria, forse meno famiglia, spiccioli di Dio: magari basterà un goal di Federico Chiesa alla Spagna o di Gianluca Scamacca alla Croazia per rivedere ancora quel simbolo universale penzolare dalle finestre, come babbo Natale fuori stagione.

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