Il Foglio sportivo
Erba italiana sempre più verde affacciata sul Po
L’affascinante miracolo del Gaibledon: Veneto Open come Wimbledon. Il salto organizzativo nel 2021 e le parole di Giorgio Bassani
L’Italia sportiva attraversata e “tastata” palmo a palmo, come facevano i grandi storici dell’arte ottocenteschi, è uno scrigno di esperienze affascinanti. Una delle più originali, che ebbi già modo di richiamare nella classifica degli Sport Thinkers 2022 curata assieme a Mauro Berruto, è quella dei ragazzi di Gaibledon, il circolo tennistico del piccolissimo paesino di Gaiba, nel Polesine, che dal 2021 hanno ritagliato per la prima volta all’Italia del tennis uno spazio nel circuito dei tornei sull’erba, con l’organizzazione di un Open femminile 125 che si conclude oggi. Nell’intermezzo temporale tra il Roland Garros e Wimbledon, da tre anni alcune delle tenniste migliori del mondo fanno scalo in questo piccolo agglomerato urbano affacciato sul Po.
Mettiamo in ordine un po’ di fatti. La storia prende avvio nel 2012, con la trasformazione del campo da calcio cittadino in campi da tennis in erba (inizialmente quattro, ora sei), con l’idea di dotare l’Italia del tennis di questa possibilità inusuale alle nostre latitudini. Una vicenda che, analizzata in retrospettiva, può essere letta come presagio di uno dei più grandi cambiamenti della cultura sportiva italiana dell’ultimo decennio (che con ogni probabilità si intensificherà nei prossimi), con il ribattersi di una palla tra gruppi di persone all’interno di uno spazio opportunamente delimitato – che sia tennis o padel o pickleball poco importa – ormai destinato a superare il calcio come numero di praticanti e di tesserati, diventando nei fatti, proprio per la capacità inter-generazionale in senso ampio di questo ribattersi della palla, lo sport egemone nell’Italia dell’invecchiamento demografico.
Nel 2021 il salto organizzativo, diventando il più piccolo paese al mondo a ospitare un torneo del circuito professionistico Wta. Non sono mancati i problemi. Nell’edizione 2022 ci furono lamentele sulla qualità dei campi, poi risolti dall’intervento salvifico di un giardiniere scozzese, in uno spirito agonistico della botanica incarnato dai ragazzi di Gaibledon fatto, come quello sportivo, di passione, volontà di miglioramento costante, sacrifici. Il fattore che ci attrae maggiormente di quest’esperienza è proprio questa cura sacrale del terreno di gioco, quella custodia che storicamente appartiene alla figura religioso-sportiva-professionale del groundsman, che in Inghilterra dal 1936 ha un istituto di alta formazione dedicato, una fiera novembrina dedicata, e che è al centro della bellezza dei campi da gioco di Wimbledon e della Premier League ammirati ogni anno da miliardi di persone in giro per il globo. Un sacrale rispetto della zolla, inattuale nei tempi delle superfici sintetiche omologanti. Il rispetto del campo come organismo vivente, che si trasforma, che evolve, che abbisogna di cure, in un’energia cosmica di questo rapporto che rimanda alla radice pagana di ogni sport moderno. Il Vate per eccellenza di questa religione è la persona che gestisce l’account X Wimbledon Groundsman, che non a caso figura tra i profili social ufficiali del torneo inglese.
Per chi voglia compiere un viaggio culturale nell’Italia sportiva, quanto abbiamo fin qui raccontato non è però l’unico motivo di fascino di Gaibledon. L’altra metà appartiene a un potente cortocircuito geografico e storico che il torneo mette in moto, probabilmente oltre le stesse intenzioni degli organizzatori. Le appartenenze territoriali tracciate dai confini amministrativi dell’Italia repubblicana possono confondere. Gaiba è situata in provincia di Rovigo, in Veneto, e non a caso il torneo ha ricevuto in questi anni un grande supporto da parte dell’istituzione regionale, tanto da chiamarsi Veneto Open. Tuttavia i confini amministrativi nulla possono rispetto alla libertà dello spirito e ai segni profondi della storia. La vera anima territoriale del torneo è un’altra. L’area gravitazionale di Gaibledon è Ferrara, distante in linea d’aria dai campi in erba del circolo poco meno di 25 chilometri, che è in termini spirituali una delle grandi capitali del tennis italiano. In primo luogo perché è la città in cui è stato concepito il Trattato sul giuoco della palla del veneziano Antonio Scaino, correva l’anno 1555, libro mai pienamente considerato (Clerici a parte) nella sua grandiosità sportiva e culturale, in cui emerge da ogni pagina il senso di superiorità dei moderni rispetto agli antichi da ricercarsi anche nelle diverse forme spaziali in cui giocare e sfidarsi nel ribattersi una palla (attività fortemente praticata nel mondo antico greco e romano), in campi opportunamente misurati e delimitati che potessero prendere il posto dei campi all’impronta dei tempi antichi. Tutto nel Trattato parla di quella che sarà la modernità matematico-geometrica del tennis, anche se alla metà del Cinquecento quella con la racchetta era solo una delle varie forme del ribattersi la palla, e non ancora quella maggioritaria. Lo sport moderno ha in Ferrara e nelle esperienze ludiche della corte estense uno dei suoi luoghi centrali, non a caso in quella che Bruno Zevi, riportando alla luce il genio urbanistico e architettonico di Biagio Rossetti, il celebre storico svizzero Jacob Burckhardt definì la prima città moderna d’Europa.
Ma Ferrara si lega a Gaibledon anche per un altro motivo culturale. Negli anni Trenta del secolo scorso in città, più precisamente al Tennis Club Marfisa D’Este ancora oggi pienamente operativo, si formano con la pratica del tennis due ragazzi rispondenti ai nomi di Michelangelo Antonioni e Giorgio Bassani. Le numerose tracce tennistiche di cui sono disseminate alcune delle loro opere più famose sono talmente note che non vale la pena citarle. Tuttavia c’è un fatto magico per la prospettiva che stiamo indagando. Nel 1974 Gianni Corbi intervistò per L’Espresso Bassani proprio sulla sua fortissima passione tennistica, vera stella polare della sua esistenza assieme alla letteratura, e fu in quest’occasione che lo scrittore ferrarese ebbe a definire il tennis un “gioco particolare, un gioco ecologico”, aggiungendo subito dopo un elogio alla civiltà wimbledoniana del “verde vegetale”. Tra lo scrittore ferrarese e i ragazzi visionari del Tennis Club Gaiba scorre un filo potente. Al viaggiatore sportivo curioso il compito di ricercarlo e assaporarlo.