(foto Ansa)

il pastone tedesco - giorno 11

Oggi l'Italia si gioca tutto (ma è meglio che non ascolti consigli)

Fulvio Paglialunga

Alla squadra di Spalletti basta un punto per qualificarsi. Da seconda troverebbe la Svizzera, dopo il gol di Fullkrug che ieri ha regalato il pareggio in extremis alla Germania

Il pastone, nel linguaggio giornalistico, è – dice la Treccani – un “servizio che riporta i fatti politici del giorno insieme con dichiarazioni e informazioni”. Per ogni giorno dell’Europeo di Germania, dall’esordio fino alla finale, qui ci saranno i fatti del giorno. Quelli seri e quelli no. Quelli del campo, quelli degli spalti, quello che c’è intorno. Questo, insomma, è il Pastone Tedesco.


 

Il punto

Al novantesimo la Svizzera era prima nel girone, Scozia e Ungheria praticamente fuori. Dopo i minuti di recupero la Germania è prima, la Svizzera seconda e l’Ungheria forse ce la fa. Il bello delle partite in contemporanea e di un Europeo che ancora non ha espresso completamente i valori è questo. Oggi si chiude il girone dell’Italia: azzurri contro la Croazia, Spagna (già prima) contro l’Albania a ora di cena.

Fullkrug segna ogni mezz’ora

Vediamo Svizzera-Germania con l’occhio interessato: se l’Italia arriva seconda nel girone giocherà contro la Svizzera, fino a qualche minuto prima della fine avrebbe potuto giocare contro la Germania. Chi è meglio? Ieri sono state due squadre alla pari e questo rivela come le statistiche sono utili, ma non dicono mai tutto: 66 per cento a 34 di possesso palla per la Germania, che tira diciotto volte contro quattro, eppure è servito il recupero perché i tedeschi pareggiassero. E qui si apre un altro argomento: Nigelsmann ha una panchina profonda, può andare in campo Fullkrug e pareggiarla, mentre la Svizzera ha i suoi uomini, miracolosi nel comparire ogni due anni in una grande manifestazione internazionale e diventare squadra di spessore. Accendete un attimo la luce su Fullkrug, devo vedere bene i dati: sei presenze nei grandi tornei, tutte da sostituto, 139 minuti giocati e quattro gol. Praticamente segna ogni mezz’ora (34,75 minuti il dato preciso). Avere un giocatore così non è male.

Varga, la grande paura e l’assist

La verità è che vedere in un Europeo un calciatore cadere a terra privo di sensi e i soccorsi portati con un telo alzato a proteggere chi è caduto dalle telecamere, dagli sguardi, fa una paura terribile, perché nessuno ha rimosso Eriksen e il suo arresto cardiaco, la sensazione di assistere alla morte in diretta. Ieri Varga si è fratturato lo zigomo, forse in più punti, in uno scontro con il portiere, ha perso conoscenza e in un attimo, mentre guardavo la Germania (saltando da una partita all’altra, ma in quel momento ero di là), l’attenzione è stata trattenuta da questo momento di paura. Ecco, dopo quegli attimi di concitazione, con i calciatori ungheresi che chiamavano i soccorsi anche mentre i soccorsi erano arrivati, quasi facendo capire che erano insufficienti, il sollievo è stato sapere che Varga si era fatto “solo” molto male. Quel tempo a terra è diventato il recupero lungo nel quale l’Ungheria ha segnato, fatto fuori la Scozia, forse guadagnato il passaggio del turno (ma tocca aspettare). La paura ha fatto l’assist.

L’Italia si gioca tutto. Meglio se non sente i consigli

Ho detto che dell’Italia parlerò poco fino a che gli eventi non mi costringeranno (andando avanti nei turni, intendo), ma qui siamo quasi in uno di quei momenti. Ovvero, ci giochiamo la qualificazione. Ed entro in conflitto di interessi con un altro mio grande amore, che è Luka Modric: se battiamo la Croazia lo facciamo praticamente fuori e non è il finale internazionale di carriera che posso augurargli. Che dico, quindi? Niente di più. Se non fosse che, leggendo i giornali di ieri mattina, avrei evitato di far dare consigli all’Italia dopo la sconfitta con la Spagna da chi dalla stessa nazionale ne ha prese quattro, in uno di quei giorni neri per l’Italia che ancora ricordiamo. Ma qui si aprirebbe il discorso sul continuo “richiamo” dei reduci che accompagnano il nostro racconto sportivo, e non ho voglia di innervosirmi.

C’è la Spagna, guardiamoci Nico Williams senza paura

Di Nico Williams, in questi giorni, si è raccontato molto. La sua storia è quella di chi ha trovato un futuro migliore attraversando l’inferno. I suoi genitori (e di Inaki, il fratello nazionale ghanese che gioca nel Bilbao come Nico) hanno usato i loro risparmi per scappare dal Ghana e pagare i trafficanti, che però durante il tragitto li lasciarono a metà strada, mentre la madre era incinta di Inaki. Per raggiungere il Regno Unito hanno dovuto camminare a piedi, senza scarpe, nel deserto del Sahara (al punto che il padre perse la sensibilità ai piedi). Videro amici morire durante il tragitto e furono arrestati a Melilla, una colonia spagnola del Marocco. Un avvocato disse loro di mentire, di dire che venivano dalla Liberia, un paese colpito dalla guerra, e con l’aiuto di un prete ottennero i documenti per restare in Spagna e un lavoro. Si trasferirono a Bilabo e lì nacque Inaki, poi a Pamplona, dove è nato Nico. Di questa storia Inaki ha saputo tutto quando ha compiuto diciotto anni. I due sono diventati milionari, partendo dal niente dei loro genitori e mi ha colpito un’intervista di William a El Mundo, in cui si racconta come un ragazzo riservato, a cui non piacciono birra e vino (beve Coca zero, ma il fratello gli ha detto che la birra, prima o poi, gli piacerà), ma soprattutto nella quale racconta il rapporto con la famiglia. Padre, madre e fratello sono coloro abilitati a richiamarlo se sta perdendo il controllo, andando un po’ oltre l’ordinario: come quando voleva comprare un’auto di lusso, chiese a genitori e fratello cosa ne pensassero e arrivò il “no” fortissimo della madre. Anche se aveva i soldi e poteva permettersela, aveva solo diciotto anni e quindi doveva comprarsi una macchina più normale, poi se ne sarebbe riparlato. Ecco, un giocatore così è sempre bello da vedere, perché a ogni capolavoro in campo (e ne fa) vedi un capitolo nuovo della sua storia. E oggi, in più, abbiamo il vantaggio di non doverlo temere perché l’avversario è l’Albania.

L’Albania ha qualche problema con le sanzioni

L’Albania, oggi, non potrà giocare con Mirlind Daku, attaccante che dopo la partita con la Croazia ha pensato bene di prendere il megafono e cantare cori contro i serbi e i macedoni. Lui, che prima di giocare con l’Albania aveva giocato con la nazionale del Kosovo, l’ha buttata in politica e in questo Europeo di confini se ne sta parlando tanto. E proprio l’Albania ha preso una multa di 48.000 euro per il comportamento dei propri tifosi nella partita contro la Croazia e per i cori “uccidi il serbo”. Che si sommano ai 37.375 euro presi contro l’Italia. E’ vero che anche la Serbia è stata sanzionata per le bandiere che annettevano il Kosovo alla loro nazione e anche la Croazia è stata multata per i cori contro i serbi. Però diciamo che il problema maggiore credo ce l’abbia l’Albania.

Yamal è troppo giovane: multa per la Spagna?

Questa è bella: la Spagna rischia una multa perché Yamal è troppo giovane. Vabbé, parliamone: la stellina delle Furie Rosse non ha ancora compiuto 17 anni (lo farà il 13 luglio, il giorno prima della finale dell’Europeo) e contro l’Italia è stato sostituito dopo 71 minuti. Forse era troppo tardi, perché la legge tedesca vieta il lavoro dei minorenni dopo le 20. Vale anche per gli stranieri che lavorano in Germania, anche se per gli atleti l’eccezione è che possono lavorare fino alle 23. Si dirà: allora, se contro l’Italia è stato sostituito intorno alle 22.30 non è un problema, anche la legge è rispettata. Forse no: secondo la tv tedesca ZDF il lavoro prevede anche la doccia, le interviste del dopo partita e l’uscita dallo stadio. Nessun problema dal punto di vista sportivo e nemmeno per la prima partita che la Spagna aveva giocato alle 18, ma se l’interpretazione diventa davvero così stringente il rischio è di una multa di 30mila euro ogni volta che si gioca alle 21, a cominciare da oggi contro l’Albania, o addirittura un divieto. Ma, ovviamente, è solo teoria. Non accadrà nulla, dai.

Cristiano Ronaldo mette a rischio la sicurezza. Ma non è colpa sua

Cristiano Ronaldo crea problemi anche quando non c’entra nulla. Cioè, in questo caso c’entra la sua impressionante popolarità, che nella partita con la Turchia ha portato a sei invasioni di campo di gente che voleva farsi un selfie con lui. Un guaio per la sicurezza, perché se Cristiano la prima volta ha posato per la foto sorridendo, poi si è scatenata la caccia allo scatto prezioso, che hanno mobilitato gli steward e creato qualche disguido non da poco: uno steward, ad esempio, è scivolato mentre cercava di raggiungere un invasore a fine partita e ha letteralmente falciato Gonçalo Ramos, che è uscito dal campo zoppicando. L’Uefa rafforzerà la sicurezza, ha ribadito che ci sono sanzioni pesanti per chi entra in campo, ma chissà cosa succederà alla prossima. Però in molti si chiedono: ok, questi entrano per i selfie, ma se avessero altre intenzioni? Il più giovane invasore, il primo, che incolpevolmente ha dato il via ai tentativi di emulazione, si chiama Berat, ha dieci anni, e si è fatto notare perché è entrato in campo in una pausa del secondo tempo e ha dribblato con non poco talento gli steward. Al padre, che era sugli spalti con lui, ha detto che andava in bagno, poi è comparso sul terreno di gioco e, a suo dire, ha realizzato il sogno della vita, con una foto che diventerà maglietta e poster per la camera. Per lui, ma solo per lui, l’Uefa ha chiuso un occhio e se l’è cavata con un avvertimento. Anche perché, se dribbla come ha fatto con gli steward, fra qualche anno potremmo vederlo di nuovo in campo, ma dalla parte giusta.

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