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Euro 2024

Perché l'Italia di Spalletti non ci sta simpatica come quella di Mancini?

Enrico Veronese

Il senso di alienazione che porta la maggioranza degli italiani a non identificarsi ancora con questa squadra non dipende solo dai risultati delle prime tre partite dell'Europeo

Come fa una rappresentativa nazionale di calcio a passare in soli tre anni dall’essere bella, vincente e apprezzata al ritrovarsi quasi inguardabile, ritrosa e soprattutto abbastanza antipatica ai più? È quanto sta accadendo all’Italia durante i campionati europei in corso in Germania: sono trascorsi trentasei mesi dai fasti di Wembley, le notti magiche rivisitate, il giro di amici sampdoriani a reggere le fila. Mentre ora, agguantati per il rotto della cuffia gli ottavi di finale, il ct Luciano Spalletti appare come un uomo solo, quasi contro tutti nell’impastare moduli, atleti, visioni di gioco, atteggiamento.

Il senso di alienazione che porta la presumibile maggioranza a non identificarsi ancora con questo team non può dipendere dai soli risultati parziali: il gioco fin qui espresso, salvo sprazzi occasionali nell’esordio contro l’Albania, è stato farraginoso, orizzontale, lento, spesso rinunciatario o irretito nello spirito da avversari più attrezzati, più tecnici, più scaltri.

Paga anche la carenza di fuoriclasse autentici, se non il solo Gianluigi Donnarumma: ma a ben guardare era così anche nell’itinerante edizione 2020, quando Jorginho e Marco Verratti erano al top, e Leonardo Spinazzola giganteggiava al massimo della forma prima delle stampelle. Quindi non deriva nemmeno dai colpi del singolo – che pure oggi con Mattia Zaccagni già sono stati necessari – né dalla presenza di giovani di belle speranze e outsider, qui abbastanza confinati tra le riserve.

Non sempre, peraltro, le Nazionali vincenti sono state anche simpatiche: c’è un abisso di percezione tra la truppa di Azeglio Vicini, che mancò la finale casalinga ai rigori dopo aver incantato già dall’Under 21, e quella di Marcello Lippi che invece dagli undici metri si impose nel 2006, ma risultava respingente in tanti singoli.

Dipenderà forse dal selezionatore? Non necessariamente: Roberto Mancini, guida in panchina nel trionfo di Londra, non passa proprio per una figura empatica a tutti gli strati. Eppure aveva contribuito a costruire un clima sereno, efficace, mentre il Paese aveva bisogno di una fuga dal Covid.

Che differenza tra le facce note di ex calciatori, compagni di squadra, persone che fino a poco tempo prima si tiravano i gavettoni in spogliatoio, e invece la pletora di funzionari del pallone in rigorosa divisa, che con il volto corrucciato (un po’ da vecchio Est) costituiscono oggi il cordone sanitario dietro il tecnico…

Se molte delle partecipanti profumano di cucine mitteleuropee, panna acida e cavoli, particolarmente amari traspaiono quelli che l’uomo di Certaldo solleva nelle conferenze ai media, tra arzigogoli lessicali e spifferi di contrasti: “Lucio” fatica a tacere di normalissimi accordi interni allo spogliatoio, trincerandosi dietro una diplomazia che si vede lontano miglia non essere il suo mestiere.

Si sciolga, mister, non si specchi nei saltimbanchi al governo pure se ha fatto visita ad Atreju: sa che in Italia siamo fatti così, preferiamo vincere che essere simpatici, avere qualcosa da ricordare negli anni. Basterà davvero poco – un paio di passaggi di turno – per avere tutte e tutti con sé. Ma intanto, sappia che bisogna aiutarsi se si vuol essere aiutati.

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