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lettere da euro 2024

Italia-Svizzera in punta di penna

Gino Cervi

Azzurri e svizzeri di fronte per l'ottavo di finale di Euro 2024. E se la si giocasse tra libri, romanzi, poesie e umorismo? 

Immaginate se domani sera la Svizzera, nell'ottavo di finale del Campionato europeo contro l'Italia di Spalletti, invece di Sommer e Akanji, di Aebischer e Freuler, di Xhaka e Ndoye, schierasse undici scrittori, undici scrittori di cittadinanza elvetica del Novecento. Immaginate una squadra tipo questa.

In porta il grigionese Arno Camenisch, una certezza di solidità valligiana.

Terzini i cugini ticinesi Giorgio e Giovanni Orelli, anche se quest'ultimo, al suo posto, potrebbe fare scendere in campo Genìa Walacek, attaccante del Servette e dalla Nazionale svizzera che segnò alla Germania nazista ai Mondiali del 1938, il cui nome stampato finì in un papier collé, di quello stesso anno, di Paul Klee e nel titolo di un divagante romanzo pubblicato nel 1991 dello stesso Giovanni Orelli. Al centro della difesa non potrebbe che esserci Friedrich Dürrenmatt, che sa governare le trame imponderabili della vita e del gioco. Al suo fianco un amico fidato: Max Frisch.

Ala destra, agile e guizzante, Peter Bichsel. Interno destro, un estroso e pungente Friedrich Glauser. Col 10, infaticabile ed elegante nel suo moto perpetuo in mezzo al campo, Robert Walser, una specie di Papierene svizzero: "Foglietto" era chiamato il grande Matthias Sindelar, austriaco, e Walser, da un certo punto in poi della sua vita, scriveva usando una calligrafia miniaturizzata su qualsivoglia foglietto volante i suoi microgrammi. Sull'out sinistro gioca Martin Suter, eclettico, con licenza di svariare su tutto il fronte d'attacco.

Ma la vera punta di diamante, il numero 9 su cui sono riposte le speranze rossocrociate di passare il turno è Ágota Kristóf, un'oriunda, in una Nazionale che da qualche anno è sinonimo di melting pot culturale e linguistico: Ágota può far valere un sinistro potente e preciso come quello del colonnello Ferenc Puskás, ungherese di nascita come lei e come lei in fuga per l'Europa dopo il '56.

"Bell'undici!" direbbe Pippo Starnazza seduto a un tavolo di un bar di periferia milanese Michele Placido in una scena di Romanzo popolare. Anche se lui si riferiva al Foggia.

Mi sa che Spalletti avrebbe non pochi grattacapi per trovare le contromisure. 

Sarebbe come giocare nel regno del Matto e rimpiangerebbe di non essere stato Mozart. In cuor suo preferirebbe andarsi a fare una lunga passeggiata, invece di stare lì seduto sulla panchina dell'Olympiastadion di Berlino. Il rischio che il match di domani sera suggelli la poco entusiasmante avventura azzurra al torneo continentale, dopo le due consevutive mancate qualificazioni mondiali, in una specie di Trilogia di K…akka.

Io un'idea ce l'avrei. Con buona pace dell’Abate di Certaldo – copyright Roberto Beccantini –, domani sera affiderei ad interim la panchina della Nazionale a Piero Chiara. Uno che di svizzeri se ne intendeva. Il confine elvetico è a un tiro di schioppo dalla sua Luino: Ponte Tresa, Brissago, Ascona… Una linea quasi immaginaria. In Svizzera Chiara dovette rifugiarsi dopo che i fascisti di Salò gli diedero la caccia: alla caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, aveva messo il busto del Duce nella gabbia degli imputati del tribunale di Varese, dove lavorava come cancelliere.

Credo davvero che gli azzurri, questi azzurri un po’ tristanzuoli, possano passare gli ottavi nel match contro gli elvetici, solo se qualcuno faccia loro una massiccia cura di umorismo. Forse non basterà neppure quella. Ma io mi fido di Piero Chiara. Faccia un po’ quel che vuole. Cambi pure tutti i giocatori della rosa e metta in campo i personaggi dei suoi romanzi e racconti. Potrebbe essere l’unico modo per mettere a soqquadro le certezze dei nipotini di Guglielmo Tell.

E allora, ecco la formazione anti-sguissari.

In porta, il protagonista de Il balordo, quel per tronco d’uomo dell’Anselmo Bordigoni, detto anche “il Buon Cazzone”.

In difesa un cocktail di arcignità e azzardo: Gennaro Mordace, l'Alto Commissario Speciale di Giustizia che perseguita lo svagato eroe narrante di Vedrò Singapore, e la Cleofe Berlusconi, che perseguita l’esistenza di Temistocle Mario Orimbelli, ne La stanza del vescovo; sulle fasce, due leggendari maestri dell’inganno del tavolo verde, il Rapazzini e il Còdega.

In mezzo al campo, il Càmola, al secolo Mario Tonini, tuttocampista fuoriclasse de Il piatto piange, e l’Aldo Torti, quello del memorabile aforisma «minga tucc i gust hin a la menta», e non per una questione politicamente corretta di quote arcobaleno, ma per l’impagabile verità di quello che risponde alle provocazioni omofobe dello squadrista Spreafico, sempre ne Il piatto piange.

E poi l’attacco: un tridente fantasia e un ispirato ispiratore. A suggerire ed esaltare, l’insaziabile Emerenziano Paronzini, a concretizzae la loro fame d’orgasmo da gol le sorelle Tettamanzi, Fortunata, Camilla e Tarsilla, che non sono l’emblema della bellezza ma non saranno mica più brutte di Scamacca, Retegui e Raspadori.

Volendo poi in panca il commissario tecnico Piero Chiara può sempre chiedere di alzarsi ed entrare a Mamarosa, la maitresse del casino di Luino; al vorace erotomane Augusto Vanzetta, il pretore di Cuvio; o alla tenebrosa Brunilde, cassiera-entraineuse del Caffè Longobardo di Cividale del Friuli. Anche se so che alla bisogna l’unico a cui affidarsi quando le cose si fanno complicate è l’Amedeo Brovelli, che “sentiva Giuditta” nel vento che arrivava dall’altra sponda fin nella darsena di Luino.

Insomma, datemi retta: se vogliamo passare ai quarti, domani sera carta bianca a Piero Chiara e gli svizzeri saranno solo un fuggevole pensiero tra un toblerone e un orologio a cucù.

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