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L'ammorbante retorica di tutti quelli che vorrebbero essere europei in nome del pallone

Maurizio Crippa

Gli Europei, oltre per il mortorio in campo, si contraddistinguono per la grande pulsione retorica che prende tutti quanti a “diventare europei” a furia di pallone. Stavolta il premio rivelazione “sono europei come noi” lo ha già vinto la Georgia

Gianni Infantino e lo scatto perfetto sono due rette divergenti che non si incontreranno mai, come quando si sparò un selfie sulla salma di Pelè. Ma bisogna ammettere che la foto di Infantino lo svizzero, il presidente Fifa che non avendo ruoli in capitolo nel festival tedesco della Uefa può farsi le foto vuole, ha qualcosa da insegnare. E’ sulle prime pagine con la maglia azzurra dell’Italia, a raccontare che lui è svizzero ma vorrebbe essere italiano e proclamare fede calcistica in Spillo Altobelli, il bomber di Sonnino. Roba, alla vigilia di Italia-Svizzera, da portare una sfiga della Maremma. Non resta che confidare nello stellone di Certaldo, e tutto andrà bene. Ma questa cosa del presidente del calcio mondiale che si fa tifoso nazionale ma della nazione non sua ma wannabe ha qualcosa di iconico. Gli Europei, oltre per il mortorio in campo (speriamo che ora qualcuno si decida a giocare) si contraddistinguono per la grande pulsione retorica che prende tutti quanti a “diventare europei” a furia di pallone.

 

Gli svizzeri, appunto. L’ex Napoli Dzemaili, ora commentatore del Canton Ticino, ha detto: “La fame della Svizzera è quella di noi immigrati”. Ma non era il cioccolato? E che dirà Sommer, che ha quarti di elveticità meglio di un orologio a cucù? Sono svizzeri, ma si sentono del “blocco Bologna”, più unione-europeisti di Bonaccini. E siccome ogni edizione ha la sua mascotte new entry del popolo che non era mai stato tanto vicino al cuore dell’Europa fino a quando non ha imparato a tirare calci al pallone – e una volta è la Slovacchia, e una volta è l’Ucraina – stavolta il premio rivelazione “sono europei come noi” lo ha già vinto la Georgia.

 

E noi vogliamo tanto bene ai georgiani, e molto male al merdone Putin, e possiamo capire che Kvaratskhelia e Mikautadze siano eroi nazionali essendosi qualificati ai quarti. Ma persino un reportage al violino di Rep. deve ammettere che lì “fino a poco tempo fa il calcio era uno sport estraneo”. Il calcio è il calcio e non significa nulla, e la politica è politica. Convocassero quel cattivaccio di Ivanishvili, il fondatore del Sogno georgiano, quello che sogna di trasformare il suo paese nella succursale di un gulag’ ma adesso promette dieci milioni di dollari se Mikautadze e i suoi fratelli facessero il colpaccio.

 

Si sentono  europei, proprio dell’Europa, pure i bulletti brexiari, che tra una partita e l’altra ci sfottono pure. E persino i turchi, che ci farebbero invadere da chiunque, non fosse per la Nato, ma quando giocano hanno tutti un parente in Germania e un idolo nell’Inter. Giocate al pallone, ma per favore restate nel vostro fuorigioco che noi siamo già annoiati.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"