Renato Steffen è arrivato in ritardo
Il calciatore svizzero lo chiamano il Pittore. E non perché dipinge, su tela o sul rettangolo di gioco, ma perché faceva l'imbianchino mentre cercava di arrivare al grande calcio
Quel nomignolo gli è rimasto appiccicato addosso per tutta la sua carriera. Come il retaggio di un peccato originale impossibile da espiare. Perché quando Renato Steffen ha fatto il suo esordio nella Super League Svizzera con la maglia del Thun, il 2 settembre del 2012, tutti lo conoscevano già come "Il Pittore". E non per via delle parabole arcuate dei suoi tiri, così simili a pennellate lasciate su una tela. Quel soprannome era nato da una circostanza molto più banale e dal conseguente intento canzonatorio. Quando aveva concluso la scuola dell’obbligo, infatti, Renato si era trovato a dover scegliere la strada per il suo futuro. E anche alla svelta. Lo studio non lo entusiasmava più di tanto. Il calcio era più vicino a un hobby che a una professione vera e propria. Ai tempi delle giovanili era stato scartato per via della sua statura limitata. Era alto pressappoco come Shaqiri. Ma non possedeva la sua stessa tecnica affilata. Così aveva iniziato a girovagare per categorie inferiori della Svizzera. Prima in quinta serie, con il SC Schöftland. Poi in terza serie con il Soletta. Qualcosa di più vicino a un inferno che a un purgatorio. Difficile sostentarsi in quel modo.
Così Steffen decide di iniziare un apprendistato presso un’impresa di intonacatura. Renato ha una buona mano. Ogni tanto dipinge. Ma più spesso imbianca pareti. La partita che gli cambia la vita arriva nel novembre del 2011. Il "suo" Soletta batte il Thun Under 21. E Renato segna addirittura una doppietta. Il giorno dopo gli arriva una telefonata. È il ds del Thun, vorrebbe offrirgli un contratto, vedere se è pronto per il salto. In quel momento Steffen posa una volta per tutte pennelli e rulli. Ma per tutti è ancora "The Painter", il pittore. O meglio, l’imbianchino.
Il fatto di essere arrivato tardi sui grandi palcoscenici lo porta a bruciare le tappe. Dopo appena un anno al Thun passa prima allo Young Boys e poi, dopo tre stagioni, al Basilea, dove vince due campionati. Steffen diventa un’ala preziosa. Gioca a destra e a sinistra, indifferentemente.
Così nell’estate del 2017 si trasferisce al Wolfsburg. Sembra il punto più alto della sua carriera, ma i biancoverdi stanno vivendo un periodo difficile. Lo spettacolo alla Volkswagen Arena è un ricordo. Il primo anno i lupi chiudono al sedicesimo posto, a un passo dalla retrocessione. Le cose in Nazionale non vanno meglio per Steffen. Dopo aver esordito nel 2015 ha perso per infortunio gli Europei del 2016 e del 2020. Poi è stato scartato all’ultimo dalla rosa del Mondiale 2018. Nel 2022 è volato in Qatar con la Svizzera, ma ha giocato solo 31 minuti con il Brasile. Poi più niente. A marzo del 2023 succede qualcosa di insperato. La Svizzera batte 5-0 la Bielorussia. E Steffen segna una clamorosa tripletta. A fine partita si porta via il pallone ma non riesce a nascondere il suo disagio. "So di non essere uno dei migliori giocatori della squadra svizzera. Ma sono un giocatore affidabile" dice. "So che se non sono in forma non ci sarà spazio per me in Nazionale e so che i giovani arriveranno e il mio tempo sarà finito» ripete. Un eccesso di realismo in un mondo di autonarrazioni entusiastiche. Nella sua ultima stagione al Lugano ha segnato 6 gol e servito 13 assist. Eppure stenta a diventare un leader. "Se dovessimo chiedere un parere su di lui a sei tifosi ne otterremmo sette diversi", ha scritto a dicembre il Corriere del Ticino. A Euro 2024 Steffen non ha ancora giocato neanche un minuto. Nessun problema per un uomo che è abituato ad aspettare.
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