Il Foglio sportivo
Spalletti contro Spalletti per dare coraggio all'Italia
Il ct con la Svizzera deve recuperare la miglior versione di sé. E prendere decisioni impopolari e dolorose. Se si deve tornare a casa presto, meglio farlo mettendoci un po’ di coraggio
Se è vero che la paura è un odore, e i viandanti lo sentono, chissà cosa hanno percepito gli addetti ai lavori e i semplici tifosi leggendo l’undici con cui Luciano Spalletti, nella notte di Lipsia, aveva scelto di affrontare la Croazia. Un insieme di decisioni in controtendenza non tanto con il dna di questo gruppo, quanto piuttosto con la storia del tecnico stesso, che in uno dei momenti più importanti della sua lunghissima carriera da allenatore sceglieva una soluzione che puzzava di compromesso per portare a casa la pelle. In quelle ore serpeggiava la convinzione di potercela fare anche nel peggiore dei casi, quello della sconfitta di misura: i giorni a seguire ci hanno dimostrato tutt’altro. Senza il gol di Zaccagni, un arcobaleno apparso nel cielo azzurro subito dopo la tempesta quando ormai non ci sperava più nessuno, l’Italia sarebbe salita sull’aereo in differita di qualche giorno, scoprendolo a scoppio ritardato: il modo forse più crudele di tornare a casa.
Invece oggi siamo qui, proiettati verso un futuro magari non particolarmente roseo, ma pur sempre futuro. Il merito è anche da scorgere in quell’abiura, in uno Spalletti che decide di ribellarsi alle sue stesse scelte conservative, maturate in un momento di fisiologico scoramento post-Spagna: dopo quella che aveva tutti i contorni della lezione di calcio, il ct aveva scelto la prudenza, termine contro il quale poi si è scagliato nelle analisi post partita. Peccato che fosse l’attimo peggiore per farlo: la Croazia, giunta a fine ciclo, si era mostrata particolarmente suscettibile se attaccata. C’era solo un modo per rianimarla: giocare ai suoi ritmi, a tratti bassissimi. Avevamo dato a Modric e compagni la partita che volevano, se l’erano presa e poi l’avevano resa fangosa, con accenni da gazzarra, un saloon nel quale i nostri non sembravano avere la personalità per fare capolino. Quando Spalletti è tornato a fare Spalletti, quando ha chiesto di aprire il campo, quando ha messo Chiesa da una parte e Zaccagni dall’altra, quando ha rinunciato a uno spento Jorginho per inserire la sfacciataggine di Fagioli, improvvisamente abbiamo ritrovato un senso, una ragion d’essere. Il resto ce lo hanno messo Calafiori, con una discesa che racconta tanto di quella che è stata la sua stagione bolognese, e Zaccagni, portatore sano di quel tipo di conclusione, tutt’altro che banale.
Adesso inizia un altro torneo, per noi e per tutte le altre big: non c’è squadra che non abbia mostrato qualche falla, nemmeno tra le migliori. Ma inizia anche una partita che non ci aspettavamo di vedere all’inizio dell’Europeo, Spalletti contro Spalletti. Il post gara al veleno dopo Italia-Croazia ha riportato alla luce crepe antiche, una tendenza a ricercare il nemico laddove il nemico non esiste, brutto sintomo di una pressione che inizia a lasciare il segno. Dovrà essere bravo a recuperare in fretta la migliore versione di sé, quella concentrata interamente sul campo, sulla gestione tattica in cui negli anni ha dimostrato un genio che troppo spesso non gli è stato riconosciuto quanto avrebbe meritato.
Dovrà avere il coraggio di prendere decisioni impopolari, persino dolorose: sono gli onori e gli oneri dei selezionatori, talvolta costretti a tenere da parte i propri pupilli per una ragione di Stato, per un bene comune che può fare qualche vittima a patto di inseguire una finalità più alta. Con grandissima onestà, Giovanni Di Lorenzo ha detto che senza Spalletti forse non sarebbe partito titolare contro la Croazia. È la fotografia di un rapporto splendido tra i due, ma in un torneo del genere si arriva in fondo anche a costo di vedere qualche muso lungo. Sarebbe folle immaginare di vedere al calcio d’inizio di Berlino la riproposizione dell’assetto finale di Lipsia, figlio di un’emergenza così prepotente da aver invaso i salotti degli italiani, ma una squadra più coraggiosa di quella vista lunedì, quella sì, accantonando chi non è parso fisicamente al top (Jorginho, Pellegrini, l’acciaccato Dimarco) per dare spazio a chi invece sembrerebbe avere la gamba giusta.
Dall’altra parte, non sappiamo cosa troveremo. La Svizzera cambia pelle senza fatica, si confonde nel paesaggio come un camaleonte, gioca col centravanti e senza, aspettando e aggredendo, in base a ciò che la partita richiede. Paradossalmente, per gli Azzurri rischia di essere un vantaggio: cosa si aspetta Yakin, dopo aver visto l’Italia in almeno tre versioni diverse nelle ultime due partite, mai uguale all’idea che avevamo prima dell’Europeo, a tratti sgangherata, comunque qualificata agli ottavi nonostante l’affanno e l’angoscia? Per indovinare il nostro undici servirebbe un oracolo, nemmeno chi ha respirato il clima degli allenamenti azzurri aveva azzardato l’ipotesi 3-5-2 prima della Croazia. Bisogna provare a leggere l’illeggibile, a decifrare il detto e il non detto. Il sottolivello, la timidezza, la banalità degli errori, gli immancabili comportamenti, quelli che ha sbandierato per anni come un manifesto ideologico. È uomo di concetti di vita, oltre che di concetti tattici. La prima volta che lasciò Roma, lo fece sbattendo il pugno sul tavolo in conferenza stampa: “Sono cinque anni che dico gli equilibri, gli equilibri, gli equilibri. Il tacco, la punta, il titolo, il gol: gli equilibri, ci vogliono gli equilibri. Se non si fanno i contrasti, non si vincono le partite”. Durante la sua seconda esperienza giallorossa, all’improvviso, in conferenza stampa, fece apparire alle sue spalle un video per mostrare un recupero difensivo di 70 metri di Momo Salah in una partita già ampiamente vinta: “Mi avete preso per il culo per anni con i comportamenti giusti: questo è un comportamento giusto, un comportamento pazzesco”.
Lunedì notte, parlando con i giornalisti con il gol di Zaccagni ancora negli occhi e nelle vene, è tornato anche sulla paura: “Se avessi avuto paura, le partite sarei venuto a vederle facendo un altro mestiere”. E allora chissà cosa sentiremo tra qualche ora, leggendo la formazione con cui l’Italia inizierà l’Europeo che conta, quello dove non c’è calcolo, c’è solo il dentro o fuori. Se avvertiremo l’odore della paura o l’inebriante profumo dell’azzardo, di un’Italia sbarazzina, lontana dal rimpiattino. Se si deve tornare a casa presto, meglio farlo mettendoci un po’ di coraggio. Perché, in fin dei conti, morire per delle idee è sempre un’idea affascinante. A patto che siano le proprie.