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Tour de France. Il tempo del vino, il tempo di Biniam Girmay

Giovanni Battistuzzi

Nella3a tappa del Tour i corridori si prendono i loro tempi, come certe bottiglie di rosso. Poi arriva il tempo della volata, confusa e anarchica: il terreno perfetto per il corridore della Intermarché, primo eritreo a vincere alla Grande Boucle. Carapaz in maglia gialla

Le colline di Langhe e Monferrato sono piene di vigne che danno uve pregiate che vengono trasformati in vini raffinati. Vini per i quali ci vuole tempo, molto tempo. Tempo per la botte, tempo per la bottiglia, tempo nel bicchiere, tempo in bocca. Certi vini non si sgargarozzano in pochi colpi. Necessitano di pazienza. 

Quando si pedala in un territorio, si scoprono i luoghi, soprattutto ci si adatta a esso, si diventa, almeno in parte e quasi per osmosi, parte di quei posti. Vale nel peregrinare distratto domenicale, vale, ogni tanto anche nelle corse dei professionisti. 

È accaduto per esempio oggi, tra Piacenza e Torino, lungo i duecentotrenta chilometri e spicci della terza tappa del Tour de France 2024. Dopo gli strappi, gli scatti, gli inseguimenti, gli ardori delle prime due tappe verso Rimini e Bologna, i corridori della Grande Boucle hanno deciso di adeguarsi ai tempi del vino piemontese. D'altra parte passavano per Nizza Monferrato e Barbaresco, colline di eccelso Nebbiolo. Hanno pedalato a lungo tranquillamente, senza alcuna fretta di arrivare, quasi a volersi godere il paesaggio collinare dell’Oltrepo pavese, prima, e delle colline piemontesi poi.

   

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Qualche accelerazione giusto per lo sprint intermedio, un’evasione tutt’altro che convinta di Fabien Grellier, nient’altro da segnalare. 

All’ingresso della provincia di Torino tutto è cambiato. Sarà che di vino non ce ne è più, sarà lo spirito industriale, sarà che l’arrivo era sempre più vicino, sarà che al Tour sono francesi e alla partita della Francia mancava sempre meno, ma i corridori hanno accelerato il ritmo. 

Forse non accade niente in tappe del genere, ma tappe del genere sono piacevoli comunque, hanno il loro fascino: lasciano il tempo di riposarsi, di guardare colline e campagne, di progettare gite e viaggi futuri. 

Langhe e Monferrato, prima di essere luoghi di ottimi vini, era luogo di briganti, Torino luogo di anarchici. E visto che l’osmosi tra territorio e corridori ha funzionato nell’avvicinamento al traguardo per tutta la tappa, ha continuato a funzionare anche nel rettifilo d’arrivo. Senza Mathieu van der Poel appiedato da una foratura, Jasper Philipsen ha perso il suo punto di riferimento, la squadra si è persa per conto suo a causa di una caduta ai meno cinque dal traguardo.  

Senza l’Alpecin schierata, tutti hanno fatto un po’ di testa loro, in una confusione di sprinter che partivano, che si fermavano che cercavano non trovando la ruota buona. Un arrivo per birbanti, uno nei quali Biniam Girmay trova sempre il modo di essere protagonista. Oggi assoluto protagonista. Il corridore della Intermarché si infila lungo le transenne, supera Mads Pedersen e passa per primo il traguardo. Esulta, poi si commuove, piange. Era da un po’ che le cose non gli andavano per il verso giusto. A Torino s’è ripreso, e con gli interessi, il tempo andato a male.

     

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Stesso discorso che va fatto per Richard Carapaz. Era da un po' che le cose gli giravano storte. Oggi si è ritrovato, per piazzamenti, in maglia gialla.

Intanto una nuova bandiera, quella dell’Eritrea, si affaccia nell’albo d’oro del Tour de France. Un nuovo sorriso stupito e commosso si prende la scena. Non era prevedibile, è successo. Era già accaduto a Rimini e a Bologna. Non male questo Tour. 

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