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Il Foglio sportivo

Branchini: “Meno soldi ai giovanissimi, manca la fame”

Giovanni Branchini

Il problema del calcio italiano risiede in un sistema che non funziona sotto molteplici punti di vista. Si è gradualmente perso l'aspetto sportivo in nome di contratti con sponsor milionari. E i bambini giocano più per strada 

Credo che il problema del calcio italiano sia un problema di sistema, come ripeto da più di 10 anni. È da allora che stiamo andando in una direzione sbagliata e pericolosa che non è identificabile in un solo aspetto. Non è il problema degli stranieri, non è il problema dei club che non hanno fiducia negli italiani. È una serie di fattori che non affliggono solo l’Italia perché è dimostrato che ci sia una crisi di vocazioni e di talenti anche in Sud America. Guardate che fatica ha fatto l’Inghilterra miliardaria, teatro del miglior calcio del mondo. Da quando il controllo del calcio è passato a tutti i livelli a dei politici o a degli affaristi si è perso di vista l’aspetto sportivo. 

Si è permesso che i peggiori costumi diventassero la norma. Oggi non c’è un giovane calciatore che non viene avvicinato da una mega agenzia che compra la fiducia sua e della famiglia. Una prassi vietata da regole che però non sono fatte rispettare, perché non porta consenso e voti a chi vive solo per essere rieletto e tenere il potere. Questo è un elemento devastante, è il primo anello di una catena di fattori che impediscono ai giovani talenti di affrontare gli anni di crescita con la fame necessaria. Oggi un ragazzino di talento a 16 anni, a 18 ha già una prima macchina da 100 mila euro, un contratto di 4/5 anni con un grande club e con gli sponsor, sa di esser stato valutato 15/20 milioni e dettaglio non da poco, ha già un’influencer nel letto. Come fai dirgli: sei ancora una pippa, devi darti da fare? Lui ti guarda ti dice: ma tutti questi che mi riempiono di soldi e mi dedicano dei titoloni sono pazzi?
Ci manca il primo vero grande maestro, il calcio per strada e negli oratori è quasi sparito, vanno tutti a giocare nelle accademie e nei settori giovanili con gente che più di loro vuole diventare qualcuno e per riuscirci deve vincere. E per farlo non costruisce giocatori. A 14 anni non è importate che un ragazzino sappia fare la diagonale, ma che sappia stoppare, calciare, dribblare.

Su questo non lavora più nessuno.  Avremmo dovuto diversificare le carriere. Chi allena fino a 15/16 anni deve farlo con un unico scopo: formare giocatori che possano ambire alla prima squadra. Invece giocano per vincere. 
Cominciamo almeno a far rispettare le regole che ci sono. Poi sediamoci tutti attorno a un tavolo: agenti, checché ne dicano,  media sportivi e società per uscirne con una serie di principi e degli impegni reali. Fino ad oggi nessuno ha dimostrato mai il minimo interesse per affrontare i problemi e cercare di risolverli.

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