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Il Foglio sportivo

La rivincita di Montella: come si riparte dopo un flop

Fulvio Paglialunga

A marzo la Turchia aveva perso 6-1 con l’Austria. La stampa voleva che si dimettesse, ma ora la squadra dell'aeroplanino turco (onorario) è la sorpresa dell’Europeo

Il 27 marzo la Turchia, sicura da tempo di essere all’Europeo, gioca contro l’Austria in amichevole. Perde 6-1 e nessuno se l’aspettava. Nessuno, anche, si aspettava la domanda di un giornalista in conferenza stampa: “Montella, pensa di dimettersi?”. Nemmeno Montella se l’aspettava, al punto da rispondere secco, nervoso. Guarda negli occhi chi ha quasi provato a mettere la sua testa sul piatto e lo affronta a parole: “Non risponderò: la considero una provocazione. Tu vieni licenziato se fai una domanda sbagliata?”. Era una domanda sbagliata, se poco più di tre mesi dopo la Turchia ha giocato di nuovo contro l’Austria e questa volta non in amichevole, ma nell’ottavo di finale dell’Europeo e ha vinto. Vincenzo Montella, allenatore della vera mina vagante dei quarti di finale (che oggi gioca contro l’Olanda), aveva ragione: quella domanda era sbagliata e al suo progetto bisognava credere.

Ma, infatti, in Turchia credono nel nostro Aeroplanino come si crede in un portatore di verità: a Montella riconoscono l’anima, lo spirito, il trasporto perfettamente fotografato dall’immagine che dà quando, alla fine della partita contro l’Austria, entra in campo completamente zuppo, travolto dalla pioggia e dalle emozioni. Lo sentono uno di loro sin dall’inizio, sin da quando, dopo aver allenato Roma, Fiorentina, Sampdoria, Milan e Siviglia, decide di accettare la panchina dell’Adana Demirspor, una neopromossa nella serie A turca. Ma come una neopromossa, peraltro già partita male e che forse retrocede? Proprio lui? Sì, lui. Colui che poi porta prima la squadra al nono posto finale e, nella stagione successiva, al massimo storico: quarto posto, qualificata alla Conference League. Ok, Montella ci sa fare, si dicono i turchi.
Montella è come se fosse un turco, hanno imparato a dire, se si pensa che quando a febbraio di un anno fa un terremoto provocò oltre cinquantamila morti in Turchia colpendo anche Adana, Vincenzo non rimase fermo. Lui, per fortuna, era a Istanbul proprio per una partita di campionato, a mille chilometri di distanza, l’albergo dove alloggiava di solito fu evacuato e poi prese fuoco. Ascoltava i racconti e riviveva la sua infanzia con il terremoto in Irpinia, anche se Adana era devastata da un sisma trenta volte più potente, capace di spaccare la terra. Montella non aveva più un alloggio, ma era il problema minore per la sua posizione di privilegiato, anche molti altri non lo avevano, ed erano gente comune. Per questo l’Aeroplanino per una volta ha aperto le braccia, ma non per volare, per stringere a sé chi era rimasto senza niente, per chiamare a sé chi poteva aiutarlo a raccogliere fondi per costruire prefabbricati dove far abitare chi non aveva più dove abitare.
Montella piace, Montella comanda. Anche quando sa di dover usare il suo modo di allenare (non è comunque mai stato uno dal carattere facile) con metodi bruschi, per ottenere il risultato, anche quando sa di avere addosso gli occhi di una stampa che se perde in amichevole gli chiede se pensa di dimettersi, quindi figurarsi se si trattiene quando lo vede, in allenamento, maltrattare Arda Guler, il Messi turco, il giovane più talentuoso che la Nazionale ha e sul quale punta per i prossimi quindici anni almeno. Il fatto è questo: dopo la sconfitta con il Portogallo (3-0, netta. Ma se non fa paura un 6-1, figurarsi) compare in rete un video dell’allenamento in cui Montella toglie la casacca da allenamento a Guler, con uno scatto nervoso, la assegna a Yusuf Yazici e lo manda a fare un esercizio individuale. Ma come? Il gioiello trattato così? E allora pronto un plotone di esecuzione mediatico, mentre la Federazione si affanna a dire che Guler aveva un problema fisico, nessun affronto. Niente, stampa e social già schierati: se la Turchia si ferma, avrà sbagliato Montella. Ma Montella non sbaglia, poi vince con la Repubblica Ceca, arriva agli ottavi, Guler gioca e gioca da Guler, quindi qualunque cosa volesse dire quel gesto, era quello adatto al momento. E anche ai quarti va così, soprattutto c’è l’Austria, quella del 6-1 e della domanda che era una provocazione.

Dopo, dopo la vittoria, Montella lo dice: “Era una macchia della mia carriera, volevo togliermela di dosso”. Il resto è un elogio del cuore della squadra, dello spirito, di tutto quello su cui ha lavorato da quando è diventato commissario tecnico, con la benedizione di Erdogan che si dice suo grande sostenitore. E da cui Montella è come se avesse avuto l’autorizzazione a parlare da capo popolo. Infatti ogni volta che arriva una vittoria importante lui si rivolge alla gente turca, enfatizza la loro felicità, quella che solo il calcio può dare anche in una nazione che solo nell’ultimo anno, nella sua serie A, ha visto i tifosi del Trabzonspor invadere il campo per aggredire i calciatori del Fenerbahce, il presidente dell’Ankaraguçu picchiare un arbitro mandandolo all’ospedale e il presidente dell’Istanbulspor ritirare la squadra dal campo per protestare contro una decisione del Var. La Nazionale di Vincenzo ripulisce l’immagine di un pallone confusionario in patria e prova ad arginarne l’uso politico, perché si trova anche alle prese con momenti come quello in cui Demiral, l’autore della doppietta decisiva agli ottavi, esulta a fine partita con il gesto che richiama la simbologia dei Lupi Grigi, movimento ultranazionalista turco, e crea incidenti diplomatici. Fa tutto Montella, fa per tutti Montella. Ma prima di ogni cosa adesso sorride, prima ancora che si giochino i quarti: guida la squadra rivelazione, comunque vada, di un Europeo che in qualche modo gioca in casa. In Germania, infatti, vivono 1,5 milioni di turchi e 1,4 tedeschi di origine turca. Più l’Aeroplanino, turco onorario.

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