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Il Foglio sportivo

Un viaggio nella cultura dello skate con Tommy Guerrero

Maurizio Zoja

Alle olimpiadi di Tokyon 2020 lo skateboard è diventato sport olimpico, ottenendo un successo mediatico e di pubblico. A tal punto che il Cio non c’ha pensato due volte a confermarlo pure alle Olimpiadi di Parigi 2024 

"Per me lo skateboard non è uno sport”, dice Tommy Guerrero. “Quando ero un professionista non facevo una preparazione specifica e non avevamo un allenatore. Semplicemente andavo sulla tavola tutto il giorno, e poi mi divertivo tutta la notte”. Popolarissimo durante gli anni Ottanta e Novanta, lo skater californiano classe 1966 vive da tempo una seconda vita da musicista ed è fra i più autorevoli rappresentanti della vecchia scuola, assieme a colleghi come Tony Alva e Tony Hawk, che negli anni passati non hanno nascosto il loro disappunto in seguito alla decisione del Cio di inserire lo skateboard nel programma delle Olimpiadi. 

Dopo il debutto di Tokyo, gli skater sono attesi anche a Place de la Concorde, dove si contenderanno le medaglie delle imminenti Olimpiadi di Parigi nelle specialità park e street. Le gare della prima si svolgeranno su un tracciato caratterizzato da una sorta di vasca di cemento, contenente diversi elementi tra cui rampe e cunette. Nello street, invece, la gara si svolgerà su un percorso simile a quello urbano, con ostacoli come scale, cordoli e corrimano. Con buona pace della crociata sostenuta a suo tempo da una testata di riferimento come Thrasher, che scrisse che l’idea dello skateboard alle Olimpiadi provocava “disgusto e mal di testa”. Dalle parole di Guerrero, in ogni caso, emerge tutta la differenza tra l’atteggiamento di chi compete per la medaglia d’oro olimpica e chi, invece, ha sempre visto lo skateboard come un modo per esprimere la propria personalità. Cresciuto a suon di musica punk, Guerrero è convinto che la tavola e le rotelle abbiano dato forma al cinquantottenne che è oggi: “La parola chiave è Diy, do it yourself: fallo da solo. Per fare skate e per suonare punk non hai bisogno di una squadra o di altre persone, e in entrambi i casi ti puoi esprimere come vuoi, a seconda di come ti senti. Fare skateboard mi ha insegnato la grinta e la costanza. Sono lezioni che poi ti porti dietro per tutta la vita, qualunque cosa tu faccia. La mia musica e il mio essere stato uno skateboarder professionista sono due cose molto vicine tra loro. In entrambi i campi per me è importante essere sciolto, non apparire o suonare rigido”. 
Elementi come il look e la percezione da parte degli altri, non certo importanti durante un’olimpiade, sono invece fattori rilevanti all’interno della cultura skate tradizionale. Basti pensare al successo di un marchio come Vans, abbigliamento tutt’altro che tecnico ma in strettissima relazione con gli adepti della cultura skate. Quando Steve Van Doren, figlio del fondatore Paul, notò che gli skater disegnavano dei quadrati bianchi e neri sulle loro scarpe, lanciò una linea di calzature senza stringhe con gli stessi quadrati, destinata al grandissimo successo anche grazie al personaggio di Jeff Spicoli, surfer con un debole per la marijuana interpretato da un giovanissimo Sean Penn in Fuori di testa di Amy Heckerling, film girato nel 1982. 

“A ognuno il suo”, risponde laconicamente Tommy Guerrero quando gli domandiamo cosa pensa dei cosiddetti poser, coloro che dalla cultura skate prendono solo gli elementi esteriori. “Per me – dice – l’elemento principale della nostra cultura è il senso di comunità. La cosa che mi piaceva di più, assieme al movimento, all’emozione che mi dava, erano le amicizie che sono nate in quel mondo”. L’unica cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno, racconta, sono le ossa che si è rotto durante la sua carriera. E quando si parla di infortuni, skater della vecchia scuola e atleti olimpici sono tutti nella stessa barca. Come sa bene Asia Lanzi, unica rappresentante italiana nello skateboard femminile a Tokyo, che un infortunio al crociato ha tenuto ferma per un anno, finendo per impedirle la partecipazione alle Olimpiadi di Parigi. Bolognese, classe 2002, skater professionista, nella gara di street a Place de la Concorde non ci sarà. 

Nata nella West Coast bianca, la cultura skate si è da sempre fatta portavoce di messaggi di integrazione, un altro elemento che la accomuna allo spirito olimpico. “End Racism”, basta con il razzismo, era scritto con lo spray sotto una delle tavole di Tommy Guerrero. “L’inclusività – conferma lui – è il principale messaggio che lo skateboard diffonde ancora oggi. Assieme allo stesso atteggiamento che avevamo noi: fregarsene di tutto e di tutti”.

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