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Il Foglio sportivo

L'uomo che camminerà sullo Stretto

Pierfrancesco Catucci

L’estone Roose dalla Calabria alla Sicilia su un cavo di 1,9 cm: “Mix di paura ed eccitazione”, commenta. Presto nella storia degli eroi che attravrsarono lo stretto
 

L’equilibrio è il suo mestiere. Il coraggio il suo pane. Sei i giorni per provare a entrare nella storia. Come gli uomini che, nell’Odissea, Ulisse sacrificò nella sfida ai mostri Scilla e Cariddi, pur di attraversare lo stretto di Messina. Entro l’11 luglio, quando scadono le varie autorizzazioni, Jaan Roose proverà a mettere le ali, come recita il famoso slogan di Red Bull che ha sposato, promosso e supportato il progetto, e proverà a scrivere il suo capitolo di un viaggio che ha dell’incredibile: camminare (si badi bene, camminare) dalla Calabria alla Sicilia sospeso su una fettuccia di materiale sintetico aggrappata a due piloni che una volta servivano a portare l’elettricità dal continente all’isola. Si chiama slackline e il 32enne estone è probabilmente uno dei migliori interpreti al mondo di questa disciplina fondata su muscoli e un’innata capacità di restare in equilibrio su un cavo largo (o meglio, stretto) appena 1,9 centimetri e lungo (per questa impresa) 3,646 chilometri. Talmente stretto da risultare praticamente quasi invisibile da terra, oltre 200 metri più in basso, nonostante il colore giallo. Un’impresa da Guinness dei primati, quasi un chilometro oltre il precedente record (2,71 chilometri) stabilito nel 2022 da Augustin Moinat in Francia, tra due vulcani sul percorso Mont Dorè, uno dei punti di ritrovo degli slackliner di tutto il mondo. 

“Sto vivendo un misto tra paura ed eccitazione, ho la sensazione di portare al limite la sfida con me stesso”. Non nasconde le proprie emozioni Roose alla vigilia del suo tentativo di stabilire il nuovo primato mondiale. Perché la paura e l’adrenalina non possono che convivere e trasformarsi mutevolmente l’una nell’altra prima di un’impresa così. “Da un punto di vista mentale devo concentrarmi su ciò che sto facendo in quel momento. Devo ridurre al minimo qualsiasi distrazione e andare avanti, cercando di restare il più lucido possibile, passo dopo passo”. Passo dopo passo (circa 15mila in totale), come in quelle frasi di circostanza pronunciate al termine di una qualsiasi partita di calcio di una qualsiasi categoria. Stavolta, però, non ci sono metafore. Perché, se è vero che Roose sarà assicurato con un sistema di sicurezza a un cavo di backup che gli impedirebbe di precipitare nel vuoto in caso di caduta, è altrettanto vero che, qualsiasi disciplina frequentino, i campioni sono prima di tutto ultra esigenti con sé stessi e non ammettono passi falsi. 

“La paura è una componente fondamentale di quello che faccio e, per certi versi, è anche il motore delle mie sfide. Si ha paura dell’ignoto, di qualcosa che non si conosce, di un’impresa che non è stata mai realizzata prima. Ma lavoro per non lasciare che la paura prenda il controllo”. D’altronde, la paura è quell’emozione che ti permette anche di non sottovalutare quello che stai per fare e di lavorare duro per essere pronto quando è il momento. Un concetto abbastanza comune tra gli atleti che hanno a che fare con sport estremi. “So che la paura è lì, ma non lascio che mi faccia tremare. So cosa devo fare per restare in equilibrio, cerco di assimilare solo le informazioni fondamentali e non lasciare che nulla di superfluo mi distragga, cerco di essere concentrato, di mangiare bene, idratarmi correttamente e fare tutto ciò che è nel mio controllo. Poi, è chiaro, sul vento e sul sole non ho nessuna possibilità di intervento”. 

Eh già, il sole, perché camminare per 3-4 ore a oltre 200 metri di altezza, con tutti i muscoli del corpo contratti nel tentativo di procedere in equilibrio su 19 millimetri di slackline, mentre la temperatura sale e il caldo accelera il consumo di energie e ti disidrata, non è da tutti. “Ma Jaan è preparato anche a questo – spiega il collega slackliner tedesco Friedi Kühne, arrivato sullo stretto per supportare l’amico – e ora è totalmente concentrato su quello che sta per fare, altrimenti non sarebbe la persona giusta. Lui è un ragazzo magnifico, solare, divertente, ma in questo momento la sua mente pensa solo a fare tutto alla perfezione per concludere la sua sfida”. 
La sfida più grande della sua vita, racconta Roose, che ha memoria del preciso istante in cui ha sperimentato la slackline e se ne è innamorato. “Era il 5 maggio 2010 (lo stesso giorno in cui i tifosi dell’Inter festeggiavano la Coppa Italia, primo mattoncino del triplete, ndr) ed era più o meno mezzogiorno. Provai a fare qualche passo su una slackline e caddi immediatamente. Poi uno in più. E uno ancora. In quel momento capii che sarebbe stata la mia vita”. Da allora un viaggio in cui la ricerca della perfezione è diventata quasi un’ossessione. Ecco perché la slackline su cui tenterà la sua impresa è 6 millimetri più stretta di quelle utilizzate abitualmente. “Bisognava trovare il giusto compromesso tra la necessità di avere attrito tra i piedi e la slackline e il bisogno di ridurre al minimo l’effetto vela che una striscia di 2,5 centimetri e lunga oltre 3.600 metri avrebbe avuto con il vento”. Quel vento che, nei fatti, è la principale preoccupazione dell’atleta Red Bull che da qualche giorno si è immerso, ma non troppo, nella realtà del Sud Italia. “Appena sono arrivato, sono rimasto sconvolto da quanto le persone mangino qui – racconta scherzando – io all’antipasto sono già sazio. Ma sono felice di provare questa impresa qui perché conosco la storia di questo posto, gli eroi che hanno attraversato lo stretto”. E, non lo dice ma forse lo pensa, un giorno vorrebbe essere ricordato come uno di loro.

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