lettere dalla Grande Boucle
Il Tour de France secondo Guillaume Martin
La velosofia del corridore della Cofidis che quest'anno corre la Grande Boucle per l'ottava volta
C’è uno scrittore che, in bicicletta, sta correndo il Tour de France. Si chiama Guillaume Martin, è parigino, ha 31 anni, indossa la maglia della Cofidis ed è il numero 141.
Nel 2019 Martin ha scritto un libro di filosofia a pedali, “Socrate à vélo” (Grasset), in cui raccontava il Tour de France dei filosofi. Ma quale Tour de France? “La nostra storia comincia a Olimpia, un 10 dicembre, durante un raduno della nazionale greca di ciclismo, due mesi prima dell’inizio della stagione. Le prime corse sono ancora lontane”, “C’è una montagna che attende gli ellenici: l’estate successiva, per la prima volta nella loro storia, saranno alla partenza del Tour de France. Mai questi atleti avevano immaginato di poter partecipare alla più grande corsa ciclistica del mondo”, “Il Tour lo seguivano a distanza, sui giornali o sulle loro tavolette”, “Ecco, soltanto quest’anno, gli organizzatori del Tour hanno modificato i loro criteri di selezione”. E’ così che Platone, Aristotele e Socrate si presentano alla conferenza stampa di Olimpia e poi alla partenza della Grande Boucle.
L’idea gli era nata durante un’intervista a Pierre Carrey di “Liberation”, il progetto gli era stato facilitato da Philippe Brunel dell’Equipe, il sogno è diventato realtà grazie ai suoi studi universitari (laurea in Filosofia all’Università di Nanterre con la tesi in un master intitolata “Lo sport moderno: è l’applicazione della filosofia nietzschiana?”) e alla sua pratica ciclistica (professionista dal 2016, vincitore – fra l’altro – del Giro della Toscana 2017, del Circuit Sarthe-Pays de la Loire 2018, del Tour de l’Ain 2022, dei gran premi della montagna alla Vuelta 2020). “Socrate à vélo” gli è valso una rassegna stampa da protagonista, la riedizione in tascabile e il titolo di “ciclista filosofo”. Proprio quello da cui era partito, un’etichetta: “Jiménez compie una lunga fuga in montagna? E’ un corridore da fatica. Ocana cade rovinosamente in un tornante? E’ un cattivo discesista. Fignon porta gli occhiali? E’ l’intellettuale del gruppo. Poulidor è spesso battuto da Anquetil? E’ l’eterno secondo. Al Tour, e nello sport in generale, si adorano le categorie, le etichette, le generalizzazioni”.
La velosofia di Martin sfonda le domande poste da Carrey (a che cosa pensi in bici?, che cosa porta la filosofia nel tuo mestiere di corridore?, quali libri ti porti al Tour?, hai tempo di leggere dopo le tappe?) e descrive, spiega, scava, ipotizza, teorizza, perfino minimizza. E un po’ ci gioca. E si diverte. E, a tu per tu, confessa: “In bici non penso a niente”. Forse perché anche i pensieri pesano, e rallentano, e alcuni pesano, e rallentano, da matti. E scrive: “Flaubert disse che si può pensare solo seduti. Nietzsche ha affermato che valgono qualcosa solo i pensieri che si hanno mentre si cammina. La bici riconcilia Nietzsche e Flaubert combinando le due condizioni, perché siamo seduti e in esecuzione mentre pedaliamo”. E postula: “La bicicletta è un attrezzo filosofico, una protesi della mente”.
Nel Tour filosofico di Martin, dopo il doveroso avvicinamento e la giusta preparazione, scorrono 21 tappe con i pensieri dei protagonisti, non solo quelli della squadra greca, ma anche altri liberi pensatori, da Einstein a Sartre, da Marx a Freud (“Fa parte di quei corridori che amano confidarsi, allungati sul lettino dei massaggiatori”), da Spinoza a Machiavelli (“Benché italiano, è stato integrato nella squadra grecolatina per la sua esperienza e il suo senso tattico”, “Il suo livello non gli permette di pretendere a un altro ruolo che non sia quello del portatore di acqua, il ‘domestique’ come dicono gli inglesi, il ‘gregario’ per gli italiani”), o Pascal. Proprio lui: “Pascal non ha vinto il Tour. Ma che importa, un’impressione di grandezza e di profonda felicità montano ugualmente in lui al momento in cui ha effettuato i primi giri di ruota sul pavé dei Campi Elisi. Dopo che Nietzsche gli ha rivelato la morte del suo dio, l’anziano teologo si è liberato corpo e anima a questa ambiziosa scommessa: divertirsi della sua condizione miserabile di uomo assalito dal nulla nel diventare un corridore professionista. Obiettivo triviale, vano e insensato, commentarono con disprezzo i suoi vecchi colleghi universitari. Che oggi sono sui marciapiedi dei Campi, a constatare con una punta di gelosia il successo della conversione pascaliana. Pascal ha giocato. E ha vinto. Pascal. Parigi è sua”.
Padre maestro di aikido e madre attrice e giornalista, Guillaume Martin pedala forte anche sulla tastiera del computer. Nel 2020 ha scritto l’opera teatrale “Platone vs. Platoche” (alias Michel Platini, messo in scena dalla compagnia del Théatre de la Boderie), nel 2021 ha pubblicato “La société du peloton, Philosophie de l’individu dans le groupe” (Grasset). In bici Martin è uno scalatore attaccante. E uno sportivo. Se gli va male, la prende con filosofia.