dai Paesi Baschi

L'indifferenza basca nei confronti della Spagna finalista a Euro 2024

Enrico Veronese

Un martedì sera tra le vie di Bilbao, durante la semifinale dell'Europeo tra Spagna e Francia, tra disinteresse per la partita e nessuna bandiera spagnola ai poggioli delle case

I gol della Spagna nella semifinale dei campionati europei contro la Francia, visti dal Casco Viejo di Bilbao, sono stati la più fisica rappresentazione del concetto di incidentale tra un pintxo e una caña tostada. Un po’ di risate, applausi contenuti per Lamine Yamal, e tutto torna come prima; così come al gol di Randal Kolo Muani, tutte e tutti gli avventori sollevano il sopracciglio verso lo schermo, ma poi tornano alle proprie incombenze.

La Spagna di Luis de la Fuente entusiasmerà il resto della penisola, ma in Biscaglia continua a non attecchire dove si scia sul selciato, complice la pioggia: adolescenti maghrebini con la maglia del locale Athletic Club, pochi ragazzini bilbaini addobbati con la Roja. I baschi tifano a scoppio ritardato, si accorgono dopo che la Spagna ha segnato: nessuna bandiera nazionale ai balconi, ogni tanto qualche ikurriña English style.

Da Claudio la Feria del Jamón, tempio della carniceria, i taglieri di cecina de León e le paletas de bellota arrivano in tavola mentre i turisti celebrano più dei locals il pareggio di Yamine Lamal. I pochi francesi in giro aspettano l’avvio del BBK, il festival musicale in collina che annovera in cartellone Air, Slowdive, Arcade Fire e i vecchi Underworld. Alle sedicenni pare non fregare niente di Lamine, piuttosto si dondolano in altalena nella zona pedonale: i visi allungati delle sorelle maggiori e delle zie scapestrate, ciglia e baffetti lanosi dei minorenni di rincorsa non si vedono nelle strade deserte attorno a calle Pilota.

 

      

Sono tutti a casa, per niente certi di farcela, ma basta arrivare alla Peña Athletic per ritrovare almeno la parvenza di un Café Estadio di Lisbona: qui lo sanno già che Dani Olmo sarà l’uomo dell’Europeo, loro ci sono nati nell’Euskadi dove basco è il gol di Merino, basche sono le parate di Unai Simon, le discese di Nico Williams. E non è la “Googleheim” che qualche turista cerca convinto: anche il terzo di orientali che bascula davanti la pantalla della Peña è poco apprensivo, come i bigotones che abitano dietro l’angolo.

Se non è un derby, poco ci manca: Aymeric Laporte ha aperto un varco, all’altro piede del ponte stava Bixente Lizarazu, e della metropolitana cittadina di Donostia si raggiunge Hindaye. Nacho e Jesús Navas non se li aspettavano dal primo minuto, sarà sempre una Selección di Madrid nonostante la Capitale sia sempre più straniera e sebbene Álvaro Morata dichiari di non stare bene in Spagna: Nico Williams, Dani Vivián, Mikel Oyarzabal e Martín Zubimendi qui hanno appena vinto e giocato in Champions League, ma niente li esalta come rappresentare l’Euskal Herria.

Ben otto dei 26 selezionati in maglia rossa affondano le radici nel nord, eppure la Federazione sta bene attenta a non far disputare incontri ufficiali a Bilbao dal 1967: quelli che twittano “Franza o Spagna” come calcolano l’esistenza di questa irriducibile terra di se stessa? Ha smesso di piovere ed è il momento di attraversare, con l’inedita sensazione del gelo di nessuna maglia, carosello, maxischermo come saremmo abituati quasi per una Nations League.

 

       

Domenica sarà finale, sarebbe molto facile arguire l’atteggiamento della clientela Pintxomania: alza lo sguardo, ascolta e torna a fare come prima. Di vere finali ne càpita una alla settimana, non di più, e i carri dei vincitori sono più che mai disposti a sentir parlare euskera, ora che i figli del drappo bianco, rosso e verde ne tengono alte le sorti: ma se domani giungesse la chiamata della Nazionale basca, piazze e cantine si alzerebbero in piedi.

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