Foto Wikimedia

Il Foglio sportivo

Nella gabbia di Orrico e della sua rivoluzione culturale

Michele Tossani

“Spalletti non doveva accettare l’Italia perché è una squadra scadente. In campionato, invece, mi aspetto un Napoli pronto a lottare per i primi quattro posti”. L'intervista all'ex allenatore nerazzurro 

"Non sempre i ribelli possono cambiare il mondo. Ma mai il mondo potrà cambiare i ribelli”. Questo pensiero di Alain de Benoist sintetizza perfettamente la parabola di Corrado Orrico e la sua tribolata esperienza alla guida dell’Inter. Un passaggio fugace quello che vide il maestro di Volpara sulla panchina nerazzurra per 215 giorni durante la stagione 1991-92.

Quel tentativo di rivoluzione (culturale prima che tattica) finì prematuramente il 19 gennaio 1992 quando, dopo una sconfitta contro l’Atalanta, Orrico dette le dimissioni, gesto ancor oggi inusuale nel mondo del calcio e che rende bene l’idea dello spessore umano di una persona mai banale.

A distanza di più di trent’anni, quella epopea nerazzurra rivive nelle pagine di un libro scritto da Vanni Spinella per le edizioni Ultra e nel quale sono raccolti i ricordi di Orrico. Il titolo è esplicativo: Quello della gabbia. Il mio calcio, la mia Inter, a mettere in risalto quello strumento d’allenamento (la gabbia appunto) da non molti compreso e da taluni addirittura dileggiato.

Partendo da questo volume è sembrato quindi interessante ripercorrere le vicende di quella stagione col diretto interessato, allargando il discorso fino al calcio attuale.

 

Mister, la sua idea forse era troppo avanti per quell’epoca e quello spogliatoio.
“Sì, è così, tanto è vero che poi ho dato le dimissioni. Durante la settimana i giocatori svolgevano le esercitazioni come chiedevo loro, la domenica però in campo vedevo tutt’altra cosa”.

 

Dal libro si evince che qualche problema tattico ci sia stato soprattutto con Matthäus.
“Stiamo parlando di un fuoriclasse. Qualche battibecco sì, c’è stato, ma niente di personale. Il fatto è che, in campo, lui tendeva sempre ad arretrare la sua posizione mentre io lo volevo un po’ più alto, quasi dietro Klinsmann, anche perché aveva un gran tiro e questo ci avrebbe dato qualche gol in più”.

 

Lo zoccolo duro del gruppo (i vari Zenga, Bergoni, Ferri) la seguiva?
“Sì, hanno sempre fatto il loro. Attenzione poi, l’allenatore non è lì per miscelare le opinioni. L’allenatore è lì per stabilire dei princìpi di gioco, le esercitazioni da utilizzare”.

 

Aveva un grande rapporto con Klinsmann. Di cosa parlavate? 
”Di cultura. Klinsmann era il giocatore più evoluto culturalmente. Nei viaggi si avvicinava spesso a me e mi faceva tante domande, parlando anche un ottimo italiano. Era un rapporto quasi intellettuale”.

 

Veniamo a oggi. Che ne pensa di Spalletti? In questi Europei mi sembra sia andato un po' in difficoltà tatticamente.
“La situazione è semplicissima: Spalletti non doveva accettare quella squadra. Una Nazionale con poco dinamismo, travolta dai ritmi degli avversari, anche quelli più scarsi. Una squadra scadente e Spalletti si è preso le colpe, ma non ne ha. Luciano rimane uno degli allenatori più evoluti del calcio italiano”.

 

Sulla crisi di talenti nel calcio italiano. 
“In Italia dove sono giocatori come Yamal, Williams, Bellingham, Dani Olmo? Che ci può fare Spalletti se non ci sono? I talenti nel calcio vanno a cicli. Si ricorda i vari Totti, Baggio, Maldini? Erano annate nelle quali in Italia uscivano talenti. Le questioni relative alle scuole calcio o al numero eccessivo di stranieri c’erano anche allora. Anche se ora ci sono molti stranieri in più non dico venti, ma almeno quattro o cinque talenti dovrebbero emergere. Ma non ci sono. La soluzione? Non c’è! Bisogna andare avanti e superare questi periodi neri. Anche l’addio di Mancini, se viene analizzato seriamente, deriva dal fatto che il Mancio aveva capito il livello della Nazionale. Non è certo andato via per i soldi”.   

 

Un Europeo comunque di basso livello. 
“Perché di basso livello? Ci sono squadre forti, tanti giocatori di talento, molti giovani. Pensa alla Spagna, la squadra più bella che abbiamo visto. Quando giocano quelle nazionali lì non c’è niente di noioso. Sembrano noiose ma non lo sono. La partita non si riesce a sbloccare perché l’atteggiamento tattico è di assoluta qualità da parte di entrambe le squadre. Quelle che vengono definite noiose sono invece le gare più evolute tatticamente. A questo proposito: l’Inghilterra e la Francia sono state criticatissime sul piano del gioco. A mio modo di vedere invece sono state organizzate al meglio. Le partite qualche volta si vincono anche in difesa”, sorride Orrico.

 

Quest’anno ci sono stati tanti cambi di allenatore in A. Chi seguirà con particolare attenzione?
 “I giovani. Gli allenatori giovani che hanno idee sono più interessanti. I tecnici anziani invece tendono a non mettere in pratica novità, sono impigriti. Mi aspetto che Thiago Motta alla Juventus riconquisti la simpatia dei tifosi". 

 

E Conte al Napoli come lo vede? 
“Bene. C’è una regola che vale per Conte: il primo anno vince sempre. Mi aspetto un Napoli a lottare per i primi quattro posti”. 

 

Fonseca invece? In Italia vediamo sempre con sospetto i tecnici stranieri. 
“Devono capire il nostro calcio. Fonseca lo abbiamo già visto alla Roma. Ha fatto benino il primo anno. Gli allenatori italiani oltre ad avere delle qualità tattiche di prim’ordine vedono là dove gli allenatori stranieri non vedono. Ricordate Benítez al Napoli? Pioli al Milan ha fatto tutto quello che poteva. Cosa si aspettavano di più? Ha vinto uno scudetto quando l’Inter era più forte”. 

 

A proposito di Inter, un parere su Inzaghi? 
“È una persona seria, perbene, ne ho una stima formidabile sul piano umano. Però esprime una sorta di perbenismo che mal si associa alla professione dell’allenatore. Un tecnico deve essere più radicale, sia nei rapporti umani che nelle questioni tattiche. Ogni tanto deve anche prendere il lettino dei massaggi e scuoterlo. I giocatori devono capire che un allenatore si può anche irritare”. 

 

E De Rossi?
“È mio amico, quindi vuol dire che è bravo – ride Orrico – Daniele i risultati li ha fatti, è giovane, ha la simpatia da parte di tutti e poi so che lui qualche lettino e qualche armadietto lo butta all’aria quando serve. La speranza è che gli facciano la squadra come si vede”. 

 

La conversazione va avanti andando a toccare la filosofia: da Kant a Heidegger fino a Platone. Ma per questo servirebbe un’altra intervista.

Di più su questi argomenti: