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Il Foglio sportivo

Perché c'è tanto tennis italiano oltre Sinner

Giorgia Mecca

La straordinaria impresa di Jasmine Paolini, la scalata di Musetti. Come Jannik sono entrambi gli esatti opposti degli stereotipi. Forse anche per questo sono diventati dei vincenti
 

Wimbledon 2024 è la fine dei luoghi comuni. Viziati, figli di papà, mammoni, per dirla come Michele Serra, sdraiati. Fino al 2016 si pensava che i tennisti italiani vincessero poco perché avevano poca fame. Stavano meglio a casa, pasta cucinata a pranzo e cena, voglia di soffrire poca. Non è mai stato del tutto vero e basta fare un giro nei circuiti challenger per rendersene conto, ma in questa edizione dei Championships si è proprio capito che tutto ciò che pensavamo di sapere sugli eleganti tennisti di casa nostra è falso. Jasmine Paolini, Jannik Sinner e Lorenzo Musetti hanno qualcosa in comune oltre al fatto di essere ai vertici del ranking mondiale. La famiglia. 

Tutti e tre avevano più o meno la stessa età, quattordici anni, adolescenza piena, quando sono diventati grandi, e hanno deciso di inseguire una specie di miraggio, solitario, senza precedenti incoraggianti e con promesse di frustrazione. Di Jacqueline e Ugo Paolini si sapeva poco niente. Mai visti nei tornei prima della finale del Roland Garros. Durante la semifinale di Wimbledon giovedì contro Donna Vekic li abbiamo visti spesso inquadrati, sorridere ed esultare come esultano solo i genitori. Per tutto il resto del tempo hanno preferito stare dietro le quinte, non interferire, mai. “La voglia era tanta”, ha detto il papà di Jasmine raccontando di quando sua figlia, a 15 anni, ha deciso di andare ad allenarsi al centro di Tirrenia, l’unica ragazza ad accettare di vivere una vita da professionista essendo ancora dilettante, una vita che aveva molto in comune con la caserma. “Il suo sogno è diventato anche il nostro”, ha detto mamma Jaqueline, da cui la figlia ha ereditato il sorriso. È successo questo e non viceversa, è successo che il sogno di una ragazza sia diventato, di riflesso lo stesso di chi l’ha messa al mondo. Spesso nello sport succede il contrario, sono frequenti i padri padroni e le madri che tolgono il respiro e pensando di fare solo il bene dei loro pargoli generano invece mostri, egoriferiti, frustrati, repressi. La frase più bella che ha pronunciato Jannik Sinner dopo aver vinto gli Australian Open lo scorso gennaio era riferita ai genitori: “Vorrei che tutti avessero i genitori che ho avuto io, mi hanno permesso di scegliere quello che volevo, fin da giovane. Auguro a tutti la stessa libertà che ho avuto”. 

L’attuale numero 1 del mondo aveva la stessa età di Jasmine Paolini, 14 anni, quando ha fatto le valigie ed è andato via di casa, affidandosi completamente al suo ex coach, Riccardo Piatti. Sinner ha imparato a stirare, incordarsi le racchette, cucinare prima di diventare a essere un campione, mentre i suoi genitori hanno continuato a lavorare, a vivere la loro vita. È un salto nel buio, un investimento a fondo perduto, sacrifici su sacrifici che per anni non portano da nessuna parte, nostalgia di casa, privazioni, sabati sera passati in una camera che non è casa tua. Sdraiati a chi? Anche Lorenzo Musetti, campione di uno Slam junior a 16 anni in Australia, ha avuto per molto tempo nel suo box il suo coach Simone Tartarini. E basta. Anche lui, dopo aver vinto, ha ringraziato i suoi genitori per avere sempre creduto in lui, alla giusta distanza, senza chiedergli in conto, senza sollevare dubbi, senza farlo sentire in colpa.
Jasmine Paolini, Jannik Sinner e Lorenzo Musetti sono l’esatto contrario degli stereotipi. Forse anche per questo sono diventati dei vincenti. Hanno preso in mano la propria vita da ragazzini, sono diventati indipendenti, autonomi, si sono assunti tutta su di loro la responsabilità del loro successo e del loro insuccesso. Non hanno mai cercato scuse, alibi o capri espiatori. Hanno avuto fiducia in loro stessi e qualcuno che si fidasse di loro senza essere ingombrante. Hanno avuto in sorte ciascuno una coppia di genitori che non aveva niente a che vedere con il tennis e che, sapendo di non avere niente di tecnico da insegnare, non ha insegnato niente, non ha messo il becco, non ha interferito. In sintesi, hanno avuto il privilegio di diventare ciò che desideravano diventare. Sul Centrale di Wimbledon oggi pomeriggio Ugo e Jaqueline Paolini verranno inquadrati spesso dalle telecamere, non saranno in prima fila e non faranno niente per farsi notare. È il giorno della loro Jasmine, della sua seconda finale Slam consecutiva, la prima a Wimbledon, contro Barbora Krejcikova. Loro vorranno solo fare il tifo per lei. Alla giusta distanza, che è il modo migliore per permettere ai propri figli di diventare grandi. Di diventare campioni.

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