ciclismo
A Plateau de Beille un'altra giornata di Tour giallo Pogacar
Lo sloveno ha vinto anche la quindicesima tappa della Grande Boucle. Vingegaard ha provato a sfiancarlo, ma la maglia gialla a cinque chilometri dall'arrivo è rimasto ancora da solo
A cinque chilometri e mezzo dalla vetta di Plateau de Beille Tadej Pogacar ha fatto invecchiare Jonas Vingegaard di almeno dieci anni. Per cinque chilometri il danese era apparso bello, elegante, fresco in viso come un divo del cinema degli anni Cinquanta. Credere in un lieto fine rende migliori chiunque. E Jonas Vingegaard ci credeva, sentiva la gamba buona dal mattino, sapeva che quella salita, quella che portava a Plateau de Beille, era perfetta per esaltare la sua forza ascensionale. D’altra parte la strada che porta a Plateau de Beille è salita particolare, stramba quasi: ogni tanto c’è un po’ di ombra, spesso tira vento, a volte è addirittura fresco.
E perfetta in effetti è stata. Dietro a lui tutti e a distanze enormi. Pure Remco Evenepoel, il più vicino al livello dei primi due della classifica, era lontano. Tutti meno uno, il solito: Tadej Pogacar.
A cinque chilometri e mezzo dalla vetta, dopo un lungo tratto nel quale il Tour de France ha offerto il meglio del ciclismo, ossia il confronto solitario dei due corridori più forti, il testa a testa che esclude qualsiasi altra presenza oltre ai due protagonisti principali, il viso di Jonas Vingegaard è diventato somigliante al crollo di una diga. La maschera che aveva indossato sino a quel momento, quella bella e giovane, si è sciolta. Aveva appena finito un’accelerazione lunghissima dopo chilometri e chilometri a fare il ritmo. Almeno mezzo chilometro a velocità costantemente crescente. Un’accelerazione che doveva fiaccare qualsiasi resistenza. A un certo punto la maglia gialla aveva pure perso mezzo metro. Questione di istanti, forse figlia della distrazione, una sorta di contentino agli amanti dei ribaltoni.
Non era aria di ribaltoni però. Tadej Pogacar ha aspettato che Jonas Vingegaard si girasse, poi è scattato. E il danese non è riuscito a fare altro che guardarlo allontanarsi. Un’altra mazzata per l’orgoglio del campione danese. Una di quella dalla quale è difficile rialzarsi, poter crederci ancora. Un minuto e otto secondi guadagnati in cinque chilometri, tre minuti e nove secondi di vantaggio in classifica generale, sono abbastanza per stare tranquilli. Il danese però ha la stessa testa e la stessa determinazione dello sloveno: ci riproverà. Anche se è difficile che le cose potranno cambiare in modo significativo. Perché Tadej Pogacar a Plateau de Beille ha dato un'altra dimostrazione di forza assoluta e assoluta capacità di rendere semplice il complesso. Nel suo incedere potente c'era tutta la leggerezza dell'uomo solo al comando che sa diventare una cosa sola con la salita, che sa trasformarsi esso stesso nella montagna che sta scalando, quasi non ci fosse distinzione tra lui e l'ambiente attorno. È anche in questa trasformazione, in questo camuffamento assoluto che si nasconde la magia del ciclismo.
Voleva dare un segnale a Pogacar e forse soprattutto a se stesso, Jonas Vingegaard. In un modo o nell’altro lo ha dato. E poco male se lo sloveno si è infuturato solo, dilatando distacchi e restringendo le alternative plausibili al suo nome davanti a tutti gli altri.
Non avevano certo bisogno di questo segnale Richard Carapaz, Laurens de Plus, Jay Hindley, Tobias Halland Johannessen ed Enric Mas, ossia gli ultimi degli avanguardisti del mattino a farsi riacciuffare da Pogacar e Vingegaard e poi da Remco Evenepoel e quei pochi, una dozzina, che erano rimasti con la maglia gialla e la maglia a pois. Vita dura per i coraggiosi sulle montagne di questo Tour. Per loro sembra non esserci spazio. Cercheranno di trovarsi un posto al sole in questo Tour de France pieno di sole, giallo Pogacar.