Foto Ap, via LaPresse

ciclismo

Jasper Philipsen sprinta veloce nel tempo lungo del Tour de France

Giovanni Battistuzzi

Volata doveva essere e volata è stata. Thomas Gachignard ha provato l'impossibile, il gruppo non si è fatto fregate, van der Poel ha lanciato al meglio il compagno e il velocista belga ha vinto la sua terza tappa a questa Grande Boucle

Laggiù nell’Hérault e ancor più muovendosi verso la Camargue e poi salendo un po’ a nord su seguendo al contrario il percorso del Rodano, il tempo ha la capacità di dilatarsi, rendersi meno pressante. Le ore si allungano soprattutto quando l’estate fa sentire il suo calore e le ore sono ritmate soltanto dal ronzare delle zanzare. 

Laggiù nell’Hérault anche il tempo del Tour de France si è dilatato nell’incedere lento e svogliato di un gruppo che non aveva nessuna fretta di arrivare a Nîmes. Perché accelerare quando ci si può godere l’ultima pianura di questa Grande Boucle? Perché velocizzare l’avvicinamento alle Alpi e ingolfare le gambe di fatiche buone solo a rendere più veloce l’arrivo del tempo massimo montanaro? Lo sapevano tutti che i velocisti sarebbero stati attenti, che avrebbero messo davanti i loro mastini da rincorsa, pronti ad azzannare qualsiasi corridore che aveva l’idea di trasformarsi in preda da acchiappare. C’ha pensato nessuno all’evasione. In certi casi la “prigionia” del gruppo è molto più dolce di qualsiasi tentativo di acciuffare la libertà. 

E volata è stata, come doveva essere. Anche se prima della volata, a metà percorso, Thomas Gachignard ha provato a fare il guastafeste, il personaggio a sorpresa che entra in un racconto e lo scompiglia. È mica uno a cui piace l’agiatezza Thomas Gachignard. Non si sognano le pietre del Nord se si è uno a cui piace l’agiatezza. È corridore inquieto, come le pietre del Nord, uno che al grande ciclismo ci è arrivato dalla porta secondaria, dopo tanto lavoro, tanti piazzamenti e poche vittorie. Uno che si è fatto la campagna del Nord ed era felice come un bambino mentre apre l’uovo di Pasqua e si strafoga di cioccolato: “Urca, e pensare che queste corse me le vedevo da casa e che quando c’erano io non c’ero per nessuno”, disse dopo la Gent-Wevelgem. 

Quando l’hanno convocato per il Tour de France era felice alla stessa maniera. Tanto che il general manager della sua squadra, la TotalEnergies, Jean-René Bernaudeau, disse: “Non credo sappia a cosa sta andando incontro”. Lo ha capito presto. "Mai avuto così male alle gambe. Però amen, è il Tour, è un piacere soffrire”. Oggi ha visto l’effetto che fa allontanarsi dal gruppo, saperlo dietro. Ha visto l’effetto che fa essere solo al comando, anche se per poche decine di chilometri. Sperava in un disinteresse generalizzato, in una totale smarrimento dei gregari. Nell’impossibile, forse.  

L’impossibile non si è materializzato. Il gruppo ha fatto il gruppo, il tempo dilatato dell’Hérault si è ristretto verso Nîmes. Troppo lontana la Camargue, troppo poco convincente il Rodano. Ci si è messo pure un po’ di vento a svegliare tutti. E così Thomas Gachignard è stato ripreso: non si era scelto il racconto giusto. 

Volata è stata, come doveva essere. Volata lunga, sballottata qua e là da rotonde e curvoni, capaci di allungare il gruppo, di far terminare i desideri di vittoria di Biniam Girmay a terra. Soprattutto di dare spazio alla bravura di Mathieu van der Poel nel condurre la bicicletta e condurre Jasper Philipsen verso la terza vittoria a questo Tour de France. Ce ne è per nessuno quando è così. Nemmeno per Phil Bauhaus, velocista da arrivi complicati. 

   

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