ciclismo
Tour de France. La deformazione prospettica di Victor Campenaerts
Il belga ha vinto la 18esima tappa del Tour dopo una fuga mlto affollata lunga un giorno e aver scelto il tempo e la persona giusta, Michał Kwiatkowski, per levarsi un po' di avventurieri di dosso.
Un po’ rideva un po’ piangeva, un po’ era serio un po’ si concedeva alle burle. In poche decine di secondi, dopo pochi minuti e pochi metri percorsi dopo l’arrivo di Barcelonnette, Victor Campenaerts faceva sfoggio della moltitudine di Victor Campenaerts che ci sono dentro quei 173 centimetri di altezza e 68 chili di ossa, muscoli e carne, ben poca a dire il vero. Victor Campenaerts ha il dono della moltitudine, la capacità di essere qualsiasi cosa e la sua negazione. In corsa sembra pure più alto e più grosso di quello che in realtà è sceso dalla bicicletta. È una deformazione prospettica, Victor Campenaerts. Oggi è anche il vincitore della diciottesima tappa del Tour de France 2024. Tappa alpina per ambientazione, anche se le grandi cime alpine erano più che altro fondale.
Victor Campenaerts è stato uno che poteva essere un velocista, così almeno gli avevano detto a inizio carriera, anche se veloce non lo è mai stato troppo. A Barcelonnette le speranze di due vite fa gli sono servite: si è tenuto alle spalle Michał Kwiatkowski, terzo, e Mattéo Vercher, secondo. C’è mai andato così vicino alla vittoria il francese da quando è professionista (ha iniziato da stagista nel 2022). Era stanco e affranto all’arrivo. C’è nulla di peggio di vedere svanire quella che si considera – non sempre con lungimiranza – l'occasione di una carriera. Ne ha di chilometri ancora da pedalare Mattéo Vercher, ha abbastanza gambe buone e acume tattico per poter ambire a riprovarci.
Due vite fa. Forse tre. Perché Victor Campenaerts è passato, sta passando, nel ciclismo alla sua multiforme maniera. Poteva specializzarsi nelle volate, questo gli avevano suggerito, decise, per evidenza, che la sua dimensione doveva essere un’altra, quella del cronoman. E contro il tempo Victor Campenaerts è sempre andato fortissimo. Campione europeo a cronometro tra gli Under 23, due volte campione europeo a cronometro tra i professionisti, oltre a un argento continentale e un bronzo Mondiale. Oltre al record dell’Ora: 55,089 chilometri, primatista per due anni, quattro mesi e tre giorni.
Si è diviso tra il cronometro e il lavoro di inseguimento a lungo. Poi si è rotto le scatole di inseguire e ha preferito essere inseguito. Fuggitivo per scelta, con tanto di soddisfazione di una tappa al Giro d’Italia.
Nella scomodità ha trovato la sua dimensione, Victor Campenaerts. E così ha provato, a trent’anni, a rifarsi una vita sulle pietre del Nord, quelle che dicevano, a inizio carriera, gli fossero precluse. Pavé percorsi sempre alla sua nuova maniera, quella di chi non ha voglia di avere troppa gente attorno.
In questo Tour de France c’ha provato spesso ad assecondare il suo spirito da eremita ciclistico. C’era mai riuscito prima di oggi. A volte basta però è solo questione di attesa e tempismo. Tipo quando ha visto Michał Kwiatkowski fare quello che gli riesce meglio, ossia accelerare nel momento giusto. Lo ha seguito speranzoso e convinto che quello fosse davvero il momento giusto e il polacco il compagno migliore per proseguire un’avventura meno affollata. Con loro è rimasto Mattéo Vercher. Si sono fatti un cenno tutti e tre. Certe volte basta un cenno, non servono tante parole: niente scherzi, che se non ci facciamo scherzi arriviamo. Sono arrivati.
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