Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA
Il nostro calcio e la storia perduta
Un viaggio a Reggio Calabria, con la squadra in serie D, per capire quanto il calcio non conosca categorie. E, sopratutto, per capire il rilievo dato ai giovani
Si può conoscere il calcio anche stando per strada, a mangiare un gelato, guardare il mare da una panchina e sorridere alla gente. È quello che mi è capitato di fare in questi giorni sullo Stretto, a Reggio Calabria, dove mi sono recato per il programma di Sky, L’Originale. Qualche bambino gioca sul lungomare, vedo il pallone che rotola, con il pensiero ci salgo sopra e rotolo con lui. L’entusiasmo delle persone all’inizio è imbarazzante, non te l’aspetti e non sai come fare ad accontentare tutti. Poi ti accorgi quanto è sana la passione della gente per il calcio, di cui sanno qualsiasi cosa, nonostante la squadra della città sia scivolata in Serie D, maltrattata dai soliti avventurieri. Il calcio non riconosce categorie, è come se fosse la stessa cosa, che si giochi all’inferno o in paradiso.
A chi ci governa suggerirei di fare un salto da queste parti per toccare con mano questo fulgore, illuminandosi un po’, invece di seguire le solite logiche finanziarie capaci di produrre soldi che nemmeno troppo lentamente scivolano via perdendosi, come un fiume dentro il mare. La nostra Nazionale ha fatto un Europeo penoso che ha fatto seguito a un Mondiale mancato. Ci sono pochi giovani perché i giovani non sanno dove crescere, frustrati da società che danno spazio a stranieri mediocri solo per il gusto di farci dei soldi facili e all’impronta, senza costruire un futuro. Mentre mi trovavo in Calabria, dal mare sono salito a circa 1.300 metri d’altezza. Dall’alto il mare sembra ancora più grande e la Sicilia più lontana. Ho immaginato un ponte che legasse le due terre, che non fosse di cemento ma di amore.
L’ho trovato in una società di mini basket che si chiama LuMaKa, fondata qualche anno fa dalla fattiva famiglia Laganà, marito, moglie e figli, da sempre appassionati di basket. LuMaKa ogni anno organizza un camp di bambini a Gambarie, una frazione dentro i boschi dell’Aspromonte. Ho visto i piccoli giocare, divertirsi, arrabbiarsi per un canestro sbagliato, poi dirigersi con compostezza dentro la struttura che li ospita per dormire e mangiare. Erano stupendi e felici, tutti con la maglietta blu e un sogno nel cuore: diventare un giocatore vero.
L’operazione LuMaKa, è nata nel 2012 con l’intento di creare un movimento che fosse anche di salvataggio sociale attraverso lo sport. È tutto assolutamente gratuito, in funzione dello sviluppo di un territorio e in nome del recupero della dignità di molte famiglie, altrimenti in difficoltà a far crescere i propri figli dentro un ambiente moralmente e fisicamente sano. Quanti di questi bambini, mi sono chiesto scioccamente, un domani diventeranno campioni? Forse molti, forse nessuno, non è di questo che dobbiamo parlare, ma dell’insegnamento che questa storia ci impartisce.
Non siamo soltanto un altare, una fotografia piena di stelle. Siamo anche polvere e sentimento, “un sonno spalancato nel silenzio”, cantava Conte. Ma a forza di dormire e lasciar correre, ci siamo ritrovati senza una storia.