Foto LaPresse

Il Foglio sportivo

Un viaggio sul pianeta Sinner. Il libro di Piccardi e Imarisio

Maurizio Zoja

Dopo aver letto tutto il libro, viene spontaneo dare di nuovo ragione a Panatta, che conclude la sua prefazione dicendo: “Dovrà diventare numero uno dentro. Se ho imparato a conoscerlo, conservare a lungo la vetta è una nuova sfida che Sinner ha tutta l’intenzione di vincere”

Tirare forte, sulle righe: a tennis si vince così. Jannik Sinner lo sa fare meglio di tutti in questo periodo storico del nostro sport. Ed è per questo che è diventato numero uno del mondo”. La fa semplice, Adriano Panatta, nella prefazione di Piovuto dal cielo – Come Jannik Sinner sta cambiando la storia del tennis (Cairo) di Gaia Piccardi e Marco Imarisio. Ma che altro dovrebbe fare, se non esprimere il punto di vista di chi a tennis ha giocato, e ai massimi livelli? I due giornalisti del Corriere della Sera, invece, si sono presi un compito più articolato: raccontare in 176 pagine un campione già entrato nel pantheon dello sport italiano. E che, è molto più di una sensazione, deve scrivere ancora i capitoli più belli della propria storia. Intanto, però, si è già portato a casa uno Slam, una Coppa Davis e una data storica: quel 10 giugno 2024 in cui la classifica Atp ha detto che è il primo tennista del mondo. Piccardi e Imarisio ripercorrono momenti e sviluppano riflessioni. Ricordano il «morto, sono morto» mormorato sul 4-4 del terzo set in finale a Melbourne, con i coach che gli rispondevano “fai con quel che hai”. “Un concetto che conosce meglio chi non è nato ricco” scrivono. E allora viaggiano fino a Sesto Pusteria, 1.900 abitanti a un passo dall’Austria, dove tutto è cominciato e dove non ci sono striscioni che celebrano il campione. “Non è un atteggiamento di distacco esibito, è un modo di vivere”. Raccontano la famiglia di Sinner, il più benvoluto dai raccattapalle del circuito, perché è il più gentile di tutti. Il ragazzino che nella sua camera della foresteria del club di Bordighera, dove si è trasferito a tredici anni, piazza accanto al letto una macchina incordatrice: è più economico che portare le racchette al negozio. Diventato adulto, quel ragazzino oggi è un’azienda, ma lui respinge quest’idea: “Il mio obiettivo non è fare soldi. È diventare la migliore versione di me stesso”. Il libro però non è solo agiografia. Ci sono anche le ombre, i conflitti, le scelte difficili. Come quella di affrancarsi da Riccardo Piatti, maestro e mentore fin dal trasferimento in Liguria.

“Non ho mai vinto uno Slam, e tutti sanno che ci terrei molto. Per riuscirci, non devo fare altro che stare in campo con Jannik. E prima o poi arriverà”. Tre mesi dopo queste parole, non era più l’allenatore di Sinner, la sua balena bianca gli era sfuggita. E dopo il trionfo in Australia, pur sapendo cosa potesse provare il suo ex maestro, il campione non gli ha dedicato neppure una parola pubblica. Finiti i tempi dei messaggi scambiati fino a tarda notte sul modo di stare in campo dei Big Three, che oggi Sinner a buon diritto può chiamare colleghi. Oggi, ammesso che uno così possa avere degli idoli, guarda con affetto ai tempi in cui il suo beniamino era il discesista Bode Miller: “Quando sei giovane la pensi in modo diverso” dice. “Ero affascinato da quel tipo folle, lui estroverso e io timido, diverso da tutti gli altri: stravinceva o si schiantava. E io sulla neve gli somigliavo”. In quei momenti, per l’ultima volta, è stato una persona davvero normale. Se a tredici anni lasci la famiglia per giocare a tennis e a ventidue sei il numero uno al mondo, è chiaro che nel frattempo sei diventato qualcos’altro. Ma il campione alla sua quota di normalità ci tiene. “Gli amici più cari sono quelli della scuola. Se vinco o perdo, a loro non gliene frega niente. La prima cosa che mi dicono quando ci sentiamo è: ciao, come stai? È una cosa che mi tiene con i piedi per terra, mi dà forza. Quando chiamo i miei, nemmeno rispondono se sono presi. Sto parlando di vita vera”. Un concetto difficile da mettere a fuoco quando si pensa che persino i Carota Boys, i suoi fan più pittoreschi, sono stati ingaggiati da Lavazza (uno degli sponsor di Sinner) e trasformati in professionisti del tifo. Normale è anche avere una fidanzata. Nel libro si parla di Maria Braccini, “alla quale aveva espressamente chiesto di rimanere nell’ombra, un sacrificio notevole per una persona che si definisce influencer”. Desiderio di privacy, forse. “Trovati una tennista” gli aveva suggerito un tempo Riccardo Piatti. Ed ecco la russa Anna Kalinskaya, “ufficializzata” durante il Roland Garros del primato e poi seguita con trepidazione (e pressoché comuni sorti) a Wimbledon. 

Dopo aver letto tutto il libro, viene spontaneo dare di nuovo ragione a Panatta, che conclude la sua prefazione dicendo: “Dovrà diventare numero uno dentro. Se ho imparato a conoscerlo, conservare a lungo la vetta è una nuova sfida che Sinner ha tutta l’intenzione di vincere”. 
 

 Gaia Piccardi e Marco Imarisio amano il tennis da prima che Jannik Sinner piovesse dal cielo. Ricordano il primo incontro con quel ragazzino rosso di capelli mentre loro erano a Bordighera sulle tracce di Maria Sharapova. Rimasero colpiti dall’atteggiamento, prima che dal tennis di quel giovane allievo di Piatti. Poi quando Jannik ha cominciato a vincere hanno ritrovato nella memoria quell’aneddoto e da lì sono partiti con le loro penne straordinariamente sensibili. Così ecco il libro pubblicato da Cairo, 176 pagine, 17 euro. Non è un instant book, tranquilli. Ma molto, molto di più.

Di più su questi argomenti: