Una statua di Pierre De Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi - foto via getty Images

Il Foglio sportivo

Iniziano le Olimpiadi: l'importante è vincere, non badate a De Coubertin

Umberto Zapelloni

Parigi ha inaugurato i Giochi. Il Team Italia più numeroso della storia e di sempre ha un solo obiettivo: superare Tokyo

L’importante è vincere, non partecipare. Ci perdoni Pierre De Coubertin. Anche se il suo spirito magari apparirà tra le eleganti mura del Pré Catelan, là dove nel 1894  brindò alla nascita dei Giochi Olimpici Moderni e dove oggi ha sede Casa Italia. Per i 208 azzurri e le 194 azzurre arrivati a Parigi l’obiettivo è uno soltanto: vincere una medaglia in più delle 40 conquistate tre anni fa a Tokyo, quando ci inebriammo con gli ori piovuti dall’atletica, ma restammo a secco nella scherma, in quella che è la nostra abituale miniera. Certo, partecipare, magari sfilare sul barcone lungo la Senna in un’atmosfera magica come ieri sera, è già un ricordo che resterà nel cuore. Un selfie da pubblicare sui social. Una foto da spedire a casa e poi mettere in un album da far vedere a figli e nipoti. Ma è difficile che Tamberi, Ceccon, le ragazze e i ragazzi del fioretto, Sofia Raffaeli, le ragazze del volley, Irma Testa e il gigante Aziz Abbes, i nostri tiratori, Banti e Tita con la loro barca invincibile, siano venuti a Parigi solo per partecipare. Loro sono qui per tornare a casa con una delle medaglie dentro le quali è stata grattugiata un po’ di Tour Eiffel.
 

Che l’importante sia partecipare lasciatelo al ricordo di De Coubertin. Anche il presidente Mattarella che da due giorni si è calato nell’atmosfera olimpica, dopo aver detto all’Italia quello che pensava, ha chiesto di fargli sentire spesso l’inno di Mameli, anche se poi ha aggiunto che la cosa più importante è il senso dello sport che trasmettono i nostri ragazzi. Ha voluto essere vicino ai ragazzi, ancora prima del via, essere in tribuna alla cerimonia dopo aver inaugurato Casa Italia che a ogni edizione dei Giochi si inventa una location sempre più magica, anche se era difficile superare la scenografia del Costa Brava Club di Rio e l’atmosfera di Westminster. Le previsioni Nielsen Gracenote aggiornate prevedono 46 medaglie (11 ori, 19 argenti, 16 bronzi), quelle dell’Equipe ce ne augurano  48 (14-17-17), come Sports Illustrated che però ci assegna tre ori in più, addirittura 50 (13-12-25) quelle previste dalla Gazzetta dello Sport. Abbiamo già perso per strada le medaglie di Sinner, ma che ci possiamo fare. Il presidente Malagò ripete da mesi che gliene basterà una in più di Tokyo per essere contento e festeggiare quella che potrebbe essere la sua ultima sfilata come grande capo dello sport italiano. L’altro giorno davanti al presidente Mattarella e alla squadra, ha aggiunto: “Dopo anni di sacrifici da parte di tutti: atlete, atleti, tecnici. Sappiamo benissimo quanto sia stato complicato arrivare qui, sappiamo quanto si siano realizzati i sogni di ognuno di voi. Siamo una delegazione bellissima, molto importante. Bisogna fare risultato anche per chi non c’è, dobbiamo assolutamente confermare quanto di straordinario abbiamo fatto a Tokyo: le aspettative sono altissime. Sono molto orgoglioso di ognuno di voi: tecnici, allenatori, presidenti, tutte le persone dello staff della squadra olimpica di Carlo Mornati. Il mondo vi guarda, vi guardano 60 milioni di italiani”. Insomma non siamo esattamente qui per onorare il motto decoubertiniano. Siamo qui per restare tra le prime 10 Nazioni al mondo nel medagliere e poi cominciare a discutere come si stila questa classifica: dando priorità al numero degli ori (come fanno quasi tutti) o al numero assoluto delle medaglie (che ci farebbe scalare posizioni). Ognuno ha la sua linea.
 

Abbiamo già superato il nostro record di atleti iscritti (peccato avere solo 4 squadre), ma essere così in tanti a Parigi non permette di accontentarsi. Bisogna gareggiare per vincere, là dove la parola vincere va intesa con uno spirito particolare. Ci sono sport in cui, obiettivamente, è impossibile salire sul podio, perché non sono esattamente i nostri sport, perché in altri Paesi sono decisamente più bravi e forti. Ma vincere significa tornare a casa con il proprio personal best, con la miglior prestazione della vita. Allora sì che sarà ancora più bello aver partecipato. Ma solo dopo aver dato il massimo alla nostra portata. Chi arriva a Parigi fa l’atleta professionista, come minimo è stipendiato da qualche corpo militare, comunque si è dedicato allo sport da una vita. E quindi ha faticato, si è sacrificato (lui o lei e i genitori, vera anima dello sport italiano), ha sognato, ha realizzato quel sogno staccando il ticket olimpico. Però adesso è arrivato il momento di realizzare quel sogno per poi tornare a casa senza rimpianti, sapendo di avere dato tutti se stessi in quella che deve essere la gara della vita. Abbiamo avuto l’esempio dei nostri portabandiera. Arianna è qui con i suoi gemelli, ha continuato a lavorare in palestra anche da mamma, anche se accanto le sono già fiorite le eredi. Era capitato anche a lei di avere in squadra Valentina Vezzali, è il ciclo della vita, un ciclo che nella scherma si tocca con mano all’interno della propria squadra, della propria camera al villaggio.
 

Gimbo che è arrivato a Parigi sull’aereo presidenziale con un sorriso mai visto, non ha bisogno neppure di parole. Questa volta in valigia non si è portato un gambaletto di gesso, ma chissà quali altre sorprese si è inventato. Ma è inutile dire che quando si deve fare l’esempio di un atleta che non molla mai lui è il primo della lista. Loro hanno sempre dato il massimo. Sono caduti e si sono rialzati. Hanno pianto e sono tornati a sorridere. Quest’Italia è proprio bella da vedere perché di ragazzi viziati qui non ce ne sono. Adesso non resta che vincere. Ragazzi, non accontentatevi di partecipare.