L'editoriale dell'elefantino
Il nichilismo allegro e un po' burino che ha aperto Paris 2024
Ma ti pare che uno sta qui a fare il serioso e il bacchettone, il trono e l’altare, quando un grande spettacolo non privo di fascino e di noia ha trattenuto tanti per quattro ore con il cuore pulsante?
Ho pronta la pena esecutiva per chi ha visto senza sbattere un sopracciglio la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi. Deve vedere l’edizione integrale della trilogia di Enrico VI, nella versione di tredici ore presentata a Avignone anni fa dal suo creatore, il regista Thomas Jolly, direttore artistico dell’ouverture sulla Senna. Apertura con i ponti d’oro un po’ odontoiatrici, con il pagliaccesco rosa dei balli lungo le voies sur berge, con il Cavaliere dell’apocalisse in eccessiva salute notturna, di metallo, che sfida la lignea e marmorea Nôtre Dame ferita galoppando sull’acqua, della mongolfiera d’oro, dei tacchi di Lady Gaga dispiegati come la sua bella durissima voce, delle discoteche su chiatta, delle sfilate di moda su chiatta, di quella generale troppa frociaggine che non ha niente a che vedere con l’omofilia, che sia benedetta, perché si manifesta non tanto nei corpi sfrenati sotto la pioggia quanto nelle incursioni al Louvre, nei baffi alla Gioconda con i vetri frantumati, nella scommessa sempre vinta e sempre perduta della postmodernità nichilista e allegra, tanta diversità e una ferrea omologazione, salvo che per il presidente Mattarella fradicio come una antichissima e decentissima spugna, salvo che per quelle comparse dette atleti immerse nell’insignificanza dei bateaux mouches, a parte l’eleganza dei mongoli che battono Armani e Berluti cinque a zero e la bellezza delle bandiere.
Non faccio il Sedlmayr dei poveri, non lamento la perdita del centro, ho amato Alleanza cattolica ma non sono pronto per la consolazione estrema, e c’è poi sempre quel particolare scabroso, che la staffilata contro l’arte senza realtà e senza Dio, quella perorazione in difesa del mondo della Cattedrali e della sacralità del costrutto linguistico in architettura e in pittura, quella denuncia venne da un fanatico originalista del Terzo Reich, tardivamente pentito, morto a Salisburgo proprio quarant’anni prima dell’ouverture pazzotica e solenne, solenne a modo suo. Mi va benissimo che oltre un miliardo di persone, una minoranza attiva e attenta, abbia visto le fantasie e la tecnica perfetta di Thomas Jolly e di Emmanuel Macron a Paris 2024, che il mondo affluente e urbano sia un grande Marais di divertimento e febbre, che siano stati costretti alla lontananza i bouquinistes dei parapetti eterni, che il fiume e le sue ninfe siano diventati il centro mobile e fibrillante e danzante di quella che un tempo era la città radunata intorno al sagrato della chiesa celebrata da Hugo, con appena un prolungamento al Louvre e alle Tuileries. Ma ti pare che uno sta qui a fare il serioso e il bacchettone, il trono e l’altare, quando un grande spettacolo non privo di fascino e di noia ha trattenuto tanti per quattro ore con il cuore pulsante a immaginare il presente di una città isolata dai treni boicottati, dispersa dall’evento o dall’Evento, battuta dai gilet gialli e dalla Cgt: metteranno tutto in Costituzione e nella dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, discoteca galleggiante compresa, e chi s’è visto s’è visto.
Certe cose non fanno scandalo, assolutamente no, e si legittimano come sempre si legittima ciò che è, nel suo particolare essere razionale. Però pensiamoci: alle Olimpiadi si può celebrare il mondo, con un tocco di classicità e di modernismo sorvegliati, oppure lo si può annullare in una frenesia che ha del pandemico e del grottesco, e magari anche qualcosa di ringard o di burino, ma artisticamente assai corretto, perfino magico, che è quello che successo a lato di una cattedrale ancora da inaugurare dopo il grande fuoco purificatore del 2019.