Andy Murray (foto Ap, via LaPresse)

A Parigi 2024 Andy Murray vuole ancora qualche standing ovation

Marco Gaetani

Poteva finire subito l'avventura del britannico alle Olimpiadi nel doppio. Si è concesso, in coppia con Daniel Evans almeno una partita in più per rimandare l'addio al tennis

Aggrappato fino all’ultimo quindici a una carriera romanzesca, in cui ha toccato con mano quei due impostori che sono i concetti di vittoria e di sconfitta, trattandoli allo stesso modo come da celebre adagio, Andy Murray sta per abdicare ma senza lasciarsi andare, onorando ogni scambio come ha sempre fatto. Dal tennis ha avuto tutto ciò che l’arcobaleno dei sentimenti umani è in grado di offrire: la fatica, lo sforzo, le delusioni, le gioie incommensurabili, i dolori devastanti provocati da infortuni che avrebbero fiaccato la resistenza di chiunque. Da anni, ormai, porta in giro per i campi di tutto il mondo una versione annacquata di ciò che è stato, vale a dire l’unico essere umano in grado di incrinare il dominio dei big three, quell’entità tricefala con i volti di Roger Federer, Rafa Nadal e Novak Djokovic, in ordine crescente di slam vinti. Quasi un anno in cima al ranking nel pieno dell’era più splendente del tennis mondiale, poi il conto salatissimo, due interventi chirurgici, convalescenze dilatate all’infinito, infine il ritorno, nel 2021, e in sottofondo una domanda perenne, fastidiosa, incombente: ma chi glielo fa fare?

È tema ricorrente il fatto che le Olimpiadi non siano uno scenario particolarmente gradito ai tennisti. Non ditelo a Murray, che in bacheca può vantare ben due ori ai Giochi: quello di Londra 2012, una finale giocata maestosamente nel giardino di casa di Re Roger, sette game concessi al rivale che solo un mese prima gli aveva portato via il sogno del primo Wimbledon della sua carriera; quindi il bis a Rio de Janeiro 2016, piegando in finale la resistenza di un altro tennista che ha conosciuto come pochi altri il significato del dolore fisico, Juan Martin Del Potro. In quell’edizione, Murray aveva tremato soprattutto al cospetto di Fabio Fognini, meraviglioso irregolare del nostro tennis, salvo poi spuntarla al termine di una partita rimasta a lungo negli occhi degli appassionati.

Murray, a Parigi, è alle prese con le ultime gare di una carriera in cui ha spremuto ogni singola fibra del suo corpo, tornando in campo solamente per l’amore profondo che lo ha legato a questa disciplina. E il primo turno del doppio, in coppia con Daniel Evans, sembrava anche destinato a essere l’ultimo show, sotto 9-4 contro i giapponesi Nishikori e Daniel nel super tie-break. Con cinque match point a sfavore, Murray ed Evans si sono aggrappati alla partita, non l’hanno lasciata andare, un po’ l’emblema dell’intero percorso tennistico dello scozzese. “Pensavamo che fosse tutto finito”, ha ammesso tra lo stupito e il commosso a fine gara, “ma abbiamo provato a giocare ogni punto. E questo è un posto davvero molto speciale per raggiungere un obiettivo del genere. Adoro essere ai Giochi, sono un evento incredibile, che ha significato molto per me nel corso degli anni. Concludere qui la mia avventura professionale è qualcosa di speciale. Perdere così sarebbe stato deludente, ma siamo riusciti a riemergere. Vediamo fino a che punto arriveremo”, ha poi aggiunto Murray, ricordando il parziale di 7-0 che è valso la clamorosa vittoria. Il sipario è pronto, così come gli applausi e la standing ovation: sappiamo tutti che è questione di giorni. Lo sa anche Murray e proprio per questo è ancora più bello vederlo ruggire. Dopo tutto ciò che è stato, dopo tutto ciò che poteva essere.

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