Olimpiadi

L'argento al fioretto di Macchi, contestato eppure bellissimo

Mauro Zanon

Lo schermidore azzurro perde la finale dopo 3 stoccate da moviola. “È argento splendente per le statistiche, ma rimarrà oro morale per sempre”, ha detto il presidente del Coni Giovanni Malagò

Fino all’ultimo respiro, sullo sfondo di un Grand Palais caldissimo, un oro sfumato di un nulla, ma un argento meraviglioso che lo iscrive nella grande storia della scherma italiana. Ieri sera Filippo Macchi ha regalato all’Italia, nel fioretto individuale maschile, l’ottava medaglia dei Giochi Olimpici di Parigi, al termine di una gara palpitante contro l’atleta di Hong Kong Cheung Ka Lung. L’asiatico parte fortissimo, 0–3, e dagli spalti, densi di tifosi italiani, si alzano i primi cori di incitamento, “Fi-lip-po”, “Fi-lip-po”. Il fiorettista toscano reagisce e mette il naso avanti, 5-4, prima di incassare tre stoccate consecutive. Cheung prova a prendere il largo andando sul 9-6, ma Macchi non si perde d’animo, è pimpante, combatte e riacciuffa Cheung tornando in parità, 10-10. Sotto gli occhi di Andrea Cipressa, medaglia d’oro nel fioretto a squadre alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, e dei suoi compagni Tommaso Marini e Guillaume Bianchi usciti rispettivamente agli ottavi e ai quarti, il 22enne di Pontedera mette a segno uno colpo spettacolare dietro la schiena che manda in visibilio il il Grand Palais, poi, parata e risposta: avanti 13-12.

 

Macchi è in trance, Cheung è sotto pressione, il pubblico spinge, “Dai Filippo!”, e il fiorettista italiano trova la stoccata del 14-12. Ne manca una per l’oro. Ma Cheung, campione olimpico a Tokyo 2020 ai danni del nostro Daniele Garozzo, ritrova energie e lucidità e riporta il match in parità: 14-14. Si susseguono tre stoccate contestate, esultano entrambi gli atleti, sventolano bandiere italiane e hongkonghese. Per due volte, l’arbitro non decide, poi, alla terza, si avvicina alla pedana e assegna l’oro a Cheung Ka Lung. Macchi si getta a terra dalla delusione, il ct azzurro Stefano Cerioni, medaglia d’oro nel fioretto individuale a Seul 1988, è una furia. Si avvicina agli arbitri, protesta, è incontenibile, e alcuni sui social lo paragonano a Mondonico con la sedia alzata dalla panchina in segno di protesta nella finale di Coppa Uefa del 1992 tra Torino e Ajax. Poi Cerioni si riavvicina al suo discepolo, lo abbraccia, gli sussurra qualcosa, cerca gli sguardi del pubblico e indica Macchi: applauditelo, è stato immenso.

 

 

“La scherma è uno sport a discrezione dell’arbitro. Sono andato avanti 14-12 e forse avrei dovuto chiuderla qui. A casa riguarderò le stoccate ma ora non voglio esprimermi, da dentro pensavo di avere ragione. Ho sognato questo momento mille volte ma mai così. Ora abbiamo una gara a squadre con i miei compagni e vogliamo dare tanto, loro mi sono stati vicinissimi. Mi sono ispirato a Dani (Garozzo, medaglia d’oro a Rio e medaglia d’argento a Tokyo, ndr) e a lui mi ispiro”, ha dichiarato Macchi dopo la finale, prima di aggiungere: “Mi volevo godere questa Olimpiade e l’ho fatto quasi fino alla fine. Sono stato su queste pedane il più a lungo possibile. Da casa si aspettano sempre tante medaglie dalla scherma ma il livello mondiale si è alzato tantissimo. Cheung è fortissimo ed è di Hong Kong, paese che tempo fa non era affatto nel panorama della scherma”.

 

Nonostante l’amarezza per l’oro mancato, quella del fiorettista italiano resta una splendida prestazione, una medaglia d’argento di grandissimo valore, oltre alla consapevolezza che il futuro è suo. Come ha detto il presidente del Coni, Giovanni Malagò, “è argento splendente per le statistiche, ma rimarrà oro morale per sempre”.