Nicolò Martinenghi dopo aver vinto l'oro olimpico sui 100 rana (foto Ap, via LaPresse)

Olimpiadi

Parigi 2024 è un trionfo di abbracci. La fortuna di condividerli con un nuotatore

Giovanni Battistuzzi

Alle Olimpiadi parigine gli atleti sono tornati ad abbracciare familiari, amici e tecnici. Tra gli sportivi solo chi nuota termina la propria prova senza sudore, polvere od odori cattivi addosso

Domenica pomeriggio la gioia, assai lacrimosa, di Pauline Ferrand-Prévot e quell’abbraccio familiare e commosso al termine della prova olimpica di cross country, hanno occupato a lungo, per minuti interi, le televisioni di tutto il mondo. La campionessa della mountain bike – che tutto era riuscita a vincere tranne le Olimpiadi – aveva staccato le rivali e le telecamere avevano indugiato su di lei. Tre minuti dopo si sono spostate sull’arrivo delle prime due avversarie, Haley Batten e Jenny Rissveds. L’americana e la svedese hanno suggellato con un abbraccio l’unica gara che, ogni quattro anni, è capace di far felici anche il secondo e il terzo.  

La differenza tra Pauline Ferrand-Prévot e Jenny Rissveds non è stata solo in gara, si è manifestata soprattutto dopo, quando allenatori e familiari della svedese hanno sancito con qualche pacca sulla spalla e qualche bacio sulla guancia la sua medaglia di bronzo. Occhi felici, ma sudore, polvere e odori ogni tanto impongono un minimo di distacco.  

Disse negli anni Ottanta Janine Boeda, moglie di Jacques Anquetil, che serve “un surplus d’amore per essere pronti a festeggiare un corridore perché un corridore supera il traguardo sempre svuotato di tutto, strizzato di ogni cosa”. E va strizzato un corridore. Come vanno strizzati gli atleti di fatica e di sforzo. Indipendentemente dal fatto che vinca o che perda.   

Jenny Rissveds non aveva vinto, ma aveva conquistato una medaglia olimpica. Che, dicono, è comunque una vittoria. E non c’è vittoria senza abbraccio, è da quando esiste lo sport che è così. Dopo aver vinto si cerca sempre il contatto, l’affetto di qualcuno. La vittoria è in fondo condivisione con chi ci sta vicino, con chi ci è stato accanto ed è stato parte di quel percorso di avvicinamento, ha condiviso sacrifici e allenamenti, ha supportato o indirizzato sforzi e rinunce.  

A Tokyo, tre anni fa, nel bel mezzo di una pandemia mondiale che aveva imposto a tutti la giusta distanza, fisica non certo mazzacuratiana, gli abbracci erano stati pochi, spesso imbarazzati. Quelli che c’erano stati furono tra atleti, compagni di squadra, tipo quello esagerato tra Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs al termine di quel quarto d’ora che stravolse, forse sconvolse, la storia dell’atletica italiana alle Olimpiadi. Il Covid c’è ancora, ma non fa più paura come agli ultimi Giochi olimpici. Oggi gli abbracci sono tornati all’ordine del giorno.  

Se non si è campioni, ma solo amici, amanti, compagni, allenatori dei un campione, serve avere la lungimiranza di scegliersi quello giusto da festeggiare. Ci sono sport dove abbracciare è più semplice e altri dove è molto più difficile. E nulla è più semplice esultare con un nuotatore  

Dall’acqua della piscina, i nuotatori, vincenti e non vincenti, hanno trovato qualcuno che li ha abbracciati senza nemmeno un’espressione stonata. Escono all’odor di cloro, bagnati e lindi e se sudano lo fanno in acqua. Non c’è altro sportivo che ha questo privilegio. Non c’è nessun altro familiare o tecnico di un atleta che ha questa fortuna. O lungimiranza. 

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