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Il ritratto

Il "filosoficamente buddista" Leo Fabbri è il simbolo della tradizione proiettata al futuro

Umberto Zapelloni

Due metri per 130 chili, l'azzurro lancia la sfida agli Stati Uniti nel lancio del peso e non si ritiene un piccolo Ercole

Parigi. Su Instagram si fa chiamare “thefabbrino”. Non è male per un ragazzone di due metri per 130 chili. Ma Leo Fabbri, l’azzurro che lancia la sfida agli Stati Uniti nel lancio del peso non si ritiene un Ercolino. Ne ha la stazza, a giudicare da quando getta lontano quella sfera di 7.260 chili ne ha anche la forza. Ma lui sostiene che non sta tutto lì. Il suoi segreto sono velocità, elasticità e dinamismo. Insegue la bellezza del movimento per raggiungere la distanza che si è messo come pin sul telefonino. “Una volta che raggiungo la misura, lo cambio. Mi serve come stimolo e mi scrivo tutto a mano sul mio diario”. Un ragazzo del 1997 che scrive a mano su un diario cartaceo incuriosisce. In un mondo dove i suoi coetanei scrivono tutto sullo smartphone, lui prende carta e penna. Ha i suoi riti e le sue scaramanzia questo aviere scelto viene da Bagno a Ripoli, figlio di una famiglia di sportivi (papà Fabio, classe 1962 correva i 100 in 10”9) che prima di portarlo al campo per provare con l’atletica, gli aveva fatto tentare un po’ di tutto, anche la ginnastica. Poi ha cominciato a lanciare disco e peso, per trovare la sua vocazione nello sport che proprio 40 anni fa a Los Angeles aveva visto vincere l’oro, Alessandro Andrei, suo conterraneo che ha conosciuto realmente pochi mesi fa. Adesso sogna di raccogliere la sua eredità proprio ai Giochi.
 

Leo ha la seconda prestazione stagionale al mondo, gli uomini da battere sono gli americani Kovacs e Crouser, gente che ha lanciato più di 300 volte oltre i 22 metri, mentre lui ci è arrivato meno di 20 volte e non ha mai superato i 23. “Non mio piace fantasticare troppo”, dice, ma il nuovo pin sul telefonino è una misura da medaglia. Lui ha lavorato solo per questo. Sul corpo e sull’anima con allenatore, dietologo e mental coach: “Grazie a Stefano Tavoletti mi sono avvicinato ai princìpi del buddismo zen. Non in senso religioso, visto che sono ateo, ma filosofico: stile di vita e testa pulita. Ho acquisito una “leggerezza” che prima non avevo. Gestisco i pensieri negativi, in pedana è molto utile. Non ho paura di sbagliare”, ha raccontato qualche tempo fa. Abbina il lavoro sul corpo a quello sulla mente: “Faccio tutti i giorni meditazione, bastano 10 minuti. Se sono a casa, appena sveglio accendo l'incenso e mi siedo su un cuscino. Mi controllo, non penso a niente, se non ad ascoltare l'aria che entra ed esce dai polmoni. Anche in questo caso è questione di tecnica”. Magari lo farà anche al Villaggio dove per ora, alla faccia degli inglesi che sono fuggiti, trova tutto perfetto. In quest’Italia dell’atletica che è tanto multietnica, lui è un simbolo della tradizione, ma anche un ponte verso il futuro.

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