Boxe e gender
Come si è arrivati all'incontro Carini-Khelif. Un caso che si poteva gestire meglio
Se il Cio non si fosse voltato dall’altra parte non sarebbe esplosa la polemica. Un'ignavia che fa male a tutti, soprattutto alle atlete e al movimento della boxe
Angela voleva solo salire sul ring e picchiare più forte della sua avversaria. Lo aveva fatto tante volte in più di cento match, arrivando a vincere un argento ai mondiali e agli europei. L’Olimpiade era il suo sogno e quello di papà che se ne è andato un anno fa, ma da quando al sorteggio ha pescato l’algerina Imane Khelif è diventata, suo malgrado, un simbolo di una lotta più grande di lei. Sono intervenuti tutti: da Salvini ad Abodi, fino alla Rowling e a Musk. Tutti a gridare che non doveva combattere contro un uomo. Anche se non era così, perché l’algerina non è un trans, il movimento di pensiero è diventato uno tsunami.
E al primo destro arrivatole sul naso, con un goccio di sangue sui pantaloncini, si è avvicinata al suo angolo e ha detto al maestro: “Mi fa troppo male”. Sul naso non le era arrivato solo un pugno. Sul naso le era arrivata la bufera mediatica e social che la tormenta da giorni. La politica di destra, il mondo della boxe: tutti le dicevano che non doveva combattere contro Imane su cui è stato scritto di tutto, ma che tre anni fa a Tokyo c’era già e aveva perso ai quarti. Imane in realtà non è transgender (genere peraltro ammesso dal Cio), ma persona con differenza dello sviluppo sessuale, ovvero con un tasso di testosterone più elevato di quello medio di una donna. Ricordate Caster Semenya nell’atletica? Un caso simile con l’aggravante che questo è uno sport di contatto e i colpi si sentono anche se le donne combattono con il caschetto e guanti più morbidi. “Quando senti un impatto fisico diverso ci sta che una ragazza si spaventi e non riesca più a controllare le sue emozioni”, ha commentato Emanuele Renzini, il suo maestro, rimasto sorpreso come tutti dalla decisione della sua atleta. Eppure Imane non è imbattibile, aveva già combattuto anche contro un’altra italiana, Susy Canfora, che aveva perduto ai colpi.
Il palcoscenico olimpico però ha trasformato questo match nel centro del mondo, in un simbolo della lotta di genere che è il nuovo tormento dello sport perché va a toccare l’intimità degli atleti, con indagini che possono diventare invasive non solo per la privacy. “Non mi hanno toccato le polemiche, non sono nessuno per giudicare, per dire se lei deve o no combattere – sostiene Angela. Non ho nulla contro la mia avversaria, anzi mi spiace mon averla salutata sul ring, ma la rabbia mi ha trascinata via. Non sono io a dover dire se può combattere o no. C’è chi deve decidere queste cose”. Certo, se il Ciò avesse fatto sue le regole dell’International Boxing Association, il caso non ci sarebbe stato perché Imane non sarebbe stata ammessa, come era già successo ai mondiali. Al contrario di quanto accade con altre federazioni, come quella dell’atletica ad esempio, la normativa del Cio sugli atleti Dsd (differences of sexual development) e sui transgender è molto più aperta e tollerante. Qualcuno dice moderna, forse esagerando. Per il Cio, se la soglia di testosterone rimane inferiore alle 10 nmol/L nei 12 mesi precedenti al torneo e per tutta la durata delle competizioni un atleta Dsd (per il Cio l’apostrofo è corretto, per l’atletica mondiale non lo sarebbe) può gareggiare. Il caso Carini è solo l’inizio di una storia che non sarà semplice risolvere senza scontentare qualcuno. Prerché ormai è già diventata una lotta politica. Il Cio, dall’altro giorno, risponde che è una donna e quindi può combattere. La specialità del Comitato Olimpico è quella di guardare dall’altra parte.