Julio Velasco tra le sue atlete (foto di Alessandra Tarantino per AP Photo, via LaPresse) 

Italia-Paesi Bassi 3-0, la seconda possibilità di Julio Velasco

Enrico Veronese

Le Azzurre del volley hanno dato al ct una vittoria che lenisce, quasi trent'anni dopo, il ricordo della finale perduta ad Atlanta '96 e le altre occasioni perse contro gli olandesi

Julio Velasco, soggetto. Ha vinto, predicato verbale. Una partita olimpica, complemento oggetto. Contro l’Olanda, attributo di gioia. L’analisi di quanto accaduto all’Arena Parigi Sud 1, dove le Azzurre del volley hanno sconfitto le rivali arancioni per 3-0, diventa logica perché consequenziale, come tutto doveva essere: la chiesa al centro del villaggio, il 72enne tecnico argentino (il più italiano che ci sia) sopra una panchina della Nazionale italiana, contro l’avversaria che durante la lunga carriera gli ha inferto i massimi dolori, tra numerose rivincite.

Quando Sarah Fahr ha fermato a muro l’ultimo attacco orange, consegnando all’Italia la vittoria per 3-0 e il passaggio del turno, le inquadrature si sono posate sopra lo sguardo del ct, con gli occhi al cielo appena lucidi: e lì chi ha osservato la partita ha capito di essere tornato a casa, come trovare la pastasciutta in tavola. Non può mai essere un incontro come gli altri: tra mille World League e campionati mondiali di Atene, travolgere la selezione olandese certo non è inedito. Fu 3-0 anche nel girone eliminatorio di Atlanta, ma ovviamente la memoria lo rimuove in funzione di ciò che accadde il 4 agosto 1996.

Per anni, da allora, un vulnus insanabile nell’immaginazione pallavolistica: ma pochi ricordano che la vera ferita è quella di Barcelona ’92, quando una regola assurda al tie break mise fuori gioco l’Italia agli ottavi, naturalmente contro l’Olanda. Ed era l’Italia più forte di sempre, la stessa dei Mondiali di Rio, quella del campionato più bello del mondo. Oggi a Julio Velasco le contingenze della storia offrono una seconda possibilità, preclusa ai suoi atleti di allora; escluso forse Andrea Giani, commissario della Francia maschile, squadra campione olimpica uscente. Il coach di sempre era peraltro già stato seduto sopra la panchina femminile, appena dopo quella spedizione dolceamara: ma la sua immanenza nel movimento non attenua l’impatto dell’immagine in televisione, con quei colori attorno, con quelli complementari dall’altra parte della rete.

Nonostante la wave dei tecnici italiani, da Stefano Lavarini che ha il piacere di allenare Asia Wolosz nella Polonia a Daniele Santarelli che domenica mattina sfiderà l’Italia alla guida della Turchia, la Fipav si era imposta di sostituire il discusso Davide Mazzanti – vittima degli ace di Melissa Vargas agli ultimi europei, più che delle sue opzioni – nell’unica maniera esente da critiche preventive: la restaurazione del totem. A Julio è consentito ciò che per il suo predecessore doveva essere tabù, ovvero far sedere la stella Paola Egonu in favore dell’emergente Kate Antropova: e poco importa se dietro c’è un discorso di pressione, arteriosa e non ambientale, corroborato dai cambi nel parquet.

Pur con qualche errore di troppo alla fine del primo set, l’opposta di origine russa gli ha dato ragione con 31 punti, in media-campionato; fondamentale come sempre la capitana Myriam Sylla in difesa e non solo, efficace la regia di Alessia Orro, in mezzo con Fahr e Anna Danesi non passa nessuna (praticamente zero veloci piazzati dalle olandesi). Ancien régime completato da Monica De Gennaro, moglie proprio di Santarelli e casualmente omonima del neo-olimpionico nel kayak, che si riprende il ruolo di libero a 37 anni, dopo la pur felice parentesi della giovane Eleonora Fersino.

Il tempo cambia molte cose nella vita: così uno si ritrova a dirigere gli allenamenti dell’Iran, o a motivare da dirigente i calciatori della Lazio. Forse il bisogno di una propria evoluzione, sganciata dalle regole comuni, dal mito di una personalità tutt’altro che falsa. Ma è per via dei pensieri associativi se Julio Velasco non riesce a stare senza la tuta azzurra, se ogni gara è l’attesa di quella che verrà dopo, e più di qualcuno sente arrivare l’ora di un risarcimento storico: non dovuto -per carità- e attraverso tortuose strade di genere. Eppure già presente in fondo a quegli occhi profondi e quasi lucidi, volti al tetto del palasport per bucarlo verso il sole dorato delle sette di sera.