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Olimpiadi

La sparizione degli accappatoi a bordo piscina (non solo) a Parigi 2024

Francesco Caligaris

I nuotatori hanno abbandonato il vecchio vestiario, ormai buono per piscine di paese. Le motivazioni che li hanno spinti verso sgargianti parka

Trascorrono la maggior parte del loro tempo praticamente nudi. “Noi nuotatori siamo sempre nudi davanti al giudizio della gente e delle telecamere, protetti solo da un sottile costume”, scrive Gregorio Paltrinieri nella sua autobiografia Il peso dell’acqua (Mondadori, 2017), “non siamo come la maggior parte degli sportivi che possono utilizzare maglie, calzoncini, calze e scarpe come armature immaginarie”.

 

   

E forse pure per questo molti nuotatori anche di altissimo livello, anche campioni olimpici, da Michael Phelps a Adam Peaty, soffrono o hanno sofferto di problemi di salute mentale durante le loro carriere. Certo: c’è la ripetitività della “riga nera”, ore giorni settimane mesi e anni a compiere lo stesso gesto, con la testa sott’acqua e quasi nessuno con cui scambiare due chiacchiere, confrontarsi, evadere da quest’alienazione; ci sono le pressioni imposte dai media, dai tifosi, dal dover rappresentare il proprio paese e, perché no, anche da sé stessi; c’è la “depressione post olimpica”, di cui ha parlato spesso proprio Phelps, quando per due settimane ogni quattro anni la gloria dei Giochi ti eleva a Dio in terra e poi ti risputa al suolo abbandonato dai riflettori, dalla fama e dalle ospitate in tv; c’è pur sempre la vita privata, che, per chi non la mette in stand-by come Thomas Ceccon, comporta magari amori che finiscono, problemi in famiglia, situazioni che cambiano. Ma sostanzialmente sono nudi, i nuotatori, nudi e per questo più vulnerabili.

  

Xu Jiayu della squadra della Repubblica Popolare Cinese, prima della finale maschile dei 100 metri dorso (Adam Pretty/Getty Images) 

 

E poi c’è l’ingresso sul piano vasca prima di una finale olimpica. Li starete vedendo in questi giorni di gare a Parigi 2024: quasi tutti i nuotatori spuntano dalla camera di chiamata camminando fieri con addosso lunghi giubbotti e grosse cuffie sulle orecchie. Accappatoio e ciabattine non abitano più qui, quella è roba da piscina del paese, da gita con l’oratorio, da domenica ai Bagni Misteriosi. È solo così che si può esprimere la propria personalità nel nuoto. Poi qualcuno è anche pieno di tatuaggi; le donne, al massimo, si dipingono le unghie. “Lo faccio perché è l’unico modo con cui posso affermare la mia femminilità in acqua”, diceva Federica Pellegrini.

 

 

Per i parka che stanno facendo tendenza a questi Giochi vale più o meno lo stesso concetto. “I nuotatori indossano il parka essenzialmente per due ragioni, una funzionale e l’altra psicologica”, spiega Roberto Tiburzi del brand arena, “la motivazione funzionale è quella di tenere il corpo e i muscoli caldi fino a pochi istanti prima della gara. A livello psicologico lo indossano perché in questo modo assumono un aspetto ancora più ‘eroico’ e, quindi, in qualche modo tendono a incutere una sorta di timore negli avversari”. Alla sua ultima linea di parka olimpici, Arena ha anche ampliato il cappuccio, proprio per poter permettere ai nuotatori di indossarli con le cuffie per ascoltare la musica.

 

Il francese Leon Marchand alla finale maschile di nuoto dei 200 metri farfalla nel quinto giorno di Parigi 2024 (Getty Images) 
   

Perché se si vuole fare trash talking, nel nuoto, cioè provare a destabilizzare gli avversari come in Nba con battutine, prese in giro, frasi irritanti o contro ogni più elementare scaramanzia, il momento a disposizione è solo uno: nella call room, cioè la camera di chiamata, la stanza in cui si attende tutti insieme prima di cominciare la gara. A volte per un buon trash talking non serve neanche parlare: è passato alla storia lo sguardo lanciato da Phelps prima della semifinale dei 200 farfalla alle Olimpiadi di Rio 2016 al sudafricano Chad Le Clos, che l’aveva battuto quattro anni prima a Londra 2012 e che adesso si agitava e ballava di fronte a lui. In quello sguardo c’era tutta la voglia di rivincita dello Squalo americano, e infatti in finale Phelps arrivò primo e Le Clos neanche sul podio. Era nudo, in quel momento, Phelps? Aveva per caso un accappatoio? No: indossava uno di questi parka, e si sentiva invincibile.

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