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Il Foglio sportivo

Dietro ai grandi nuotatori c'è sempre un grande allenatore

Francesco Caligaris

I maestri che plasmano gli allievi. Ecco tutti i segreti dei successi di Thomas Ceccon, Nicolò Martinenghi e Gregorio Paltrinieri

La prima volta che Marco Pedoja ha incontrato Nicolò Martinenghi, Martinenghi aveva 9 o 10 anni. “Si avvicina questo bambino biondino alla piscina Mecenate di Milano che mi dice: ‘Sono campione regionale’”, ha raccontato qualche giorno fa Pedoja al Giornale, “lì per lì pensai: ‘E quindi? Cosa vuole da me?’. Voleva parlare. E così me lo sono ritrovato in piscina”. La prima volta che Antonio Burlina (in realtà ne faceva le veci la sua compagna, Anna Vallarsa: i protagonisti ci perdonino l’espediente narrativo) ha incontrato Thomas Ceccon, Ceccon… faceva già il Ceccon. “Si tuffò la prima volta, io aspettavo che riemergesse”, ha detto Vallarsa nel 2022 alla Gazzetta dello Sport, “e invece restava sotto. Spuntò fuori un bel po’ in là”.
 

Se domandate a Cesare Butini, direttore tecnico della Nazionale italiana di nuoto, qual è uno dei segreti della squadra che alle Olimpiadi di Parigi 2024 ha già conquistato quattro medaglie, tra cui proprio gli ori di Martinenghi (100 rana) e Ceccon (100 dorso), e ha ancora due giorni per aumentare il bottino (con Gregorio Paltrinieri nei 1.500 stile libero, con la staffetta 4x100 mista maschile, e perché no, anche con Simona Quadarella in cerca di un comunque difficile riscatto negli 800 stile libero), Butini è solito rispondere allo stesso modo: gli allenatori. “Questa secondo me è la nostra forza, negli ultimi 10-15 anni c’è stato un grande investimento della federazione sui tecnici”, ripete spesso, “anche perché l’allenatore rimane, l’atleta passa, e quindi se io ho investito sull’allenatore, l’allenatore sarà in grado di poter riprodurre o ritrovare un altro atleta di alto livello”.
 

Nicolò Martinenghi è allenato da Marco Pedoja dal 2011, da quando aveva 12 anni; Thomas Ceccon è seguito da Alberto Burlina addirittura da quando ne aveva 8. Sono cresciuti insieme, due rette parallele: i bambini sono diventati prima adolescenti, poi adulti e adesso anche campioni olimpici, e lo stesso vale per i due tecnici. Pedoja, di Varese come Martinenghi, è nato nel 1986 e da nuotatore era un buon mistista, ma gli mancava la rana per competere ad alti livelli: un paradosso vista la specialità in cui ha reso grande il suo allievo. Laureato in Scienze Motorie nel 2009, è tecnico di base dal 2014 e allenatore di secondo livello dal 2016. Burlina, vicentino (come Ceccon, che per la precisione è nato a Thiene) classe 1969, è perito tecnico-meccanico e ha lavorato nelle camere iperbariche fino all’età di 24 anni. Ha conseguito il brevetto di assistente bagnante nel 1991, è tecnico di base dal 1995 e allenatore di secondo livello dal 1999. Del suo lavoro, in un recente documentario, ha detto: “Siamo tutti uguali di fronte all’acqua, è l’elemento più democratico che io conosca”.
 

Le medaglie d’oro erano nel loro destino. “Mi ricordo il 2012, a Roma, era la prima stagione in cui lavoravamo insieme”, ha dichiarato Pedoja a Parigi, “allora gli avevo predetto che il 2024 sarebbe stato il suo anno”. “Quand’ero ragazzino, avrò avuto 15 anni, stavo andando in macchina con il mio allenatore verso la piscina e lui mi chiese quale fosse il mio sogno”, ha svelato Ceccon pochi minuti dopo aver ascoltato l’inno di Mameli sul podio, “io risposi di vincere le Olimpiadi. Lui subito mi disse di stare calmo, tranquillo, di fare una cosa alla volta e che alla fine i risultati sarebbero arrivati”.
 

In queste due storie molto italiane e molto simili tra loro, in cui il binomio atleta-allenatore è praticamente inscindibile da sempre, diverso sembra soltanto l’immediato futuro. Pedoja ha annunciato, sempre al Giornale, che “magari Nicolò andrà al Grande Fratello, chi lo sa. Di sicuro staccheremo la spina per quattro mesi dopo le Olimpiadi. È stato un triennio pieno di gare, siamo stanchi”, mentre Burlina ha subito rilanciato, spiegando che “adesso focalizzeremo altri obiettivi: sicuramente ci concentreremo anche sui 200 misti, che sono nelle corde di Thomas. Lui è sempre ambizioso e ha una costante voglia di esplorare nuovi orizzonti. In questi anni è maturato molto: è diventato uomo e ha cambiato alcuni aspetti del suo carattere”.
 

Anche Simona Quadarella è allenata da Christian Minotti dall’età di 12 anni. “Mi ha vista crescere, ma siamo un po’ cresciuti insieme”, ha detto a Vanity Fair, “aveva 31 anni quando mi ha presa, aveva da poco smesso di nuotare le mie stesse gare. Siamo cresciuti lui come allenatore e io come atleta”. Gregorio Paltrinieri, dopo il bronzo negli 800 stile libero, ha rivelato di aver messo a punto la sua nuova strategia di gara con il suo tecnico Fabrizio Antonelli, che lo segue dal 2020 e che a Ostia allena una internazionale del nuoto in acque libere (cinque stranieri: la tedesca Leonie Beck, la brasiliana Ana Marcela Cunha e i francesi Océane Cassignol, Marc-Antoine Olivier e David Aubry) che avrebbe vinto 7 medaglie su 21 ai Mondiali del 2022, 6 su 15 a quelli del 2023 e 5 su 15 a quelli del 2024. Il britannico Max Litchfield, quarto nei 400 misti a Parigi, è stato allenato per un periodo a Livorno da Stefano Franceschi, che ha portato alle Olimpiadi sei atleti, un record nella storia del nuoto italiano.
 

E infine c’è chi accoglie chi si sposta, come Benedetta Pilato, da Taranto a Torino, da Vito D’Onghia ad Antonio Satta, e quelle parole alla Rai dopo il quarto posto per un centesimo nella finale dei 100 rana che tanto hanno fatto discutere erano anche per loro due: “Sono felice perché un anno fa non ero neanche in grado di fare questa gara e oggi ho nuotato la finale olimpica provandoci fin dal primo metro. Il cambiamento mi serviva e mi è servito, ma ovviamente non dimentico tutto quello che c’è stato prima”. Oppure Manuel Frigo e Paolo Conte Bonin, i protagonisti a sorpresa della prima giornata dei Giochi, medaglia di bronzo con la staffetta 4x100 stile libero maschile, entrambi veneti trapiantati a Roma per allenarsi con Claudio Rossetto. Di storie così ce ne sono molte, non si vedono ma è giusto raccontarle: è (anche) questo che rende grande il nuoto italiano.

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