Tokyo 2020, le medaglie d'oro nell'atletica per l'Italia con Jacobs nei 100 metri e Tamberi nel salto in alto (LaPresse) 

Il destino beffardo unisce (ancora) Jacobs e Gimbo

Umberto Zapelloni

Alla finale dei 100 metri incoronato Noah Lyles, mentre Jacobs chiude quinto con il miglior tempo stagionale, ma con una coscia fasciata. Intanto Gianmarco Tamberi, in ospedale per un calcolo renale, promette di lottare fino all'ultimo salto

Il destino li ha uniti ancora una volta. Come il primo agosto di tre anni fa quando a Tokyo si fusero in un abbraccio immortale. Questa volta non c’è nulla da festeggiare. Gimbo manda una foto dal letto di un pronto soccorso, Jacobs chiude la finale dei 100 metri con il quinto posto e una vistosa fasciatura alla coscia sinistra. Ha corso forte, ha corso come da tempo non riusciva a fare chiudendo in 9”85, il suo miglior tempo stagionale, ma non è riuscito ad andare oltre il quinto posto. L’uomo più veloce del mondo è ancora americano, come non capitava da Atene 2004. Vent’anni dopo, esaurita l’epopea Bolt e la fiammata di Marcell Jacobs, il re è Noah Lyles che è nato il 18 luglio 1997 a Gainesville. Un uomo spettacolo, uno che dice: “Se non hai il carattere per fare il primattore non correre lo sprint”. Lui è qui alla ricerca di quattro ori: 100, 200, e le staffette 4x100 e 4x400. È lui il nuovo showman dello sprint, baciato dal fotofinish dopo una battaglia pazzesca con il giamaicano Kishane Thompson: “Pensavo avesse vinto lui. Gli ho detto: mi hai battuto fratello, poi invece è uscito il mio nome. Ho vinto da lupo tra i lupi”. Per Jacobs resta un po’ d’amaro in bocca anche se non era scontato raggiungere la finale. Lyles ha vinto in 9”79, stesso tempo del giamaicano battuto in fotografia. Ha vinto chi lo merita, chi ha già il mondiale in tasca, il degno erede di Jacobs.

    

Certo il destino sa essere beffardo. Tre anni dopo Marcell e Gimbo sono ancora uniti. Il quattro agosto di quest’anno li ha fatti rimbalzare ancora in prima pagina a pochi minuti uno dall’altro. Mentre Jacobs si preparava alla semifinale dei 100 a Parigi, dall’Italia arrivava un post di Gimbo corredato da una sua foto inquietante in ospedale con flebo e mascherina. “Incredibile… Non può essere vero… Ieri ho avvertito una fitta lancinante ad un fianco. Pronto soccorso, Tac, ecografia, analisi del sangue. Probabile calcolo renale - scrive il detentore del titolo dell’altro - A tre giorni dalla gara per cui ho sacrificato tutto quanto, sono sdraiato a letto, impotente, con 38,8 di febbre. Avrei dovuto cominciare il mio percorso verso questo grande sogno invece sono stato consigliato di posticipare il viaggio nella speranza che, con un po’ di riposo, questo incubo finisca”. 

   

   

Non gli è rimasto che affidarsi a qualcuno più grande di lui: ”Non mi resta che aspettare e pregare. Non mi merito tutto questo, ho fatto di tutto per questa Olimpiade. Una cosa sola è certa: non so come ci arriverò, ma io su quella pedana ci salirò e darò l’anima fino all’ultimo salto, qualsiasi sarà la mia condizione. Lo giuro a me stesso”. Filippo Tortu, un altro uomo d’oro di Tokyo (nella staffetta 4x100) gli ha subito risposto: “Dai Gimbo, dobbiamo recuperare la tua fede e pure la Gioconda”. Poi è arrivata la finale di Marcell. Il quinto posto e una fasciatura che lo unisce ancora una volta all’amico in ospedale