Olimpiadi

La rimonta dell'Italvolley contro il Giappone è un manifesto dell'italianità

Enrico Veronese

Spalle al muro, con tre match point per gli avversari, Giannelli e compagni raddrizzano una partita che sembrava persa. Nonostante tutto, siamo ancora vivi (e in semifinale)

A volte rispettare alla lettera i luoghi comuni non fa male, anzi risulta salvifico. La vulgata dice che il popolo italiano dà il meglio di sé quando è con l’acqua alla gola? E allora la Nazionale maschile di pallavolo vince il proprio quarto di finale olimpico contro il Giappone, partendo da uno svantaggio di due set e trovandosi sotto 21-24 nel terzo: praticamente la pistola puntata alla tempia. Ma poi nell’arena parigina succede qualcosa: dapprima il centrale Roberto Russo, uno degli indiziati per le défaillance occorse fino a quel momento, annulla il primo match point. Quindi, nel conseguente attacco orientale, Yūki Ishikawa manda fuori l’attacco decisivo. Infine, la telefonata del Presidente che sospende l’esecuzione e annuncia il provvedimento di grazia: al servizio Simone Giannelli, capitano silenzioso e fuoriclasse della squadra allenata da Ferdinando de Giorgi. Un ace perfetto - proprio nel fondamentale che tanto aveva contribuito a perdere in precedenza - consente agli azzurri di pareggiare e aiuta a riportarli avanti grazie al muro di Alessandro Michieletto, fin lì a mezzo servizio in attacco. Il tempo per l’effimero pareggio dello stesso Ishikawa e sta a Daniele Lavia consegnare altre “vite” all’Italia. 

La palla trasformata da Giannelli ha cambiato completamente l’inerzia del match e - a questo punto - dello stesso torneo olimpico: le chat vorticose, i gruppi di visione a distanza e il buon senso avevano già decretato la fine delle speranze per la spedizione, sommersa sotto i colpi mirati dello schiacciatore principe e di Yūji Nishida, ma soprattutto incapace di bucare la munitissima difesa orchestrata dal libero Tomohiro Yamamoto, una calamita per ogni incursione. Il Giappone stava meritando il passaggio del turno grazie a una prestazione al proprio 150% di fronte a un avversario abulico, con Yuri Romanò poco servito, Daniele Lavia a cantare e portare la croce, i centrali in giornata negativa nelle due fasi. Eppure, con la resistenza e l’incoscienza di chi non ha più niente da perdere, la battuta vincente del capitano rinverdisce decenni di tradizione nella salvezza last minute: in quel pallone c’era la freccia di Michele Frangilli, che ai Giochi londinesi del 2012 si conficcò nel 10 per donare alla selezione tutta una medaglia d’oro diventata allora insperabile. 

Ai nipponici, vittime del loro giustificato crederci nella condizione data (chi non lo avrebbe fatto?), rimane l’incredulità già esperenziata nel calcio: ai mondiali del 2018 fu il Belgio a rimontarli da 0-2 a 3-2. E c’è chi giura che non si siano ancora moralmente ripresi. Fatto sta che oggi un match nato come poco più di una formalità si stava trasformando in un incubo, uno strazio tale da voler spegnere televisori e device. Invece, dove non si crede, è nata un’altra Italia: più efficace a muro con il centrale Giacomo Galassi, negli attacchi di Ale e in quelli di Yuri. Mercoledì la semifinale, contro Francia o Germania: quel che conta è che dopo tre ore di emozioni e collassi siamo ancora vivi. 

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