Parigi 2024

Le Olimpiadi e un tema serio, quello della differenza sessuale

Marina Terragni

Mettete da parte le idiozie dei troll russi, ma anche quelle dei commissari genetici da social. Il tema della differenza sessuale, e dell’intersessualità, va affrontato con scienza e non con propaganda. 

Mettetevi d’accordo con voi stessi, per favore – appello rivolto ai transattivisti. Fino a un paio di settimane fa per il transcult dire che donna è una nata con la vagina costituiva l’eresia estrema. Una con la vagina al massimo era un “mestruatore”, JK Rowling ne sa qualcosa. Ora invece essere dotate di vagina – o di pseudo-vagina, mestruante o meno, circostanza comunque non accertabile – costituisce la prova regina dell’essere donna. Il giro di boa a Parigi 2024 in supporto di Imane Khelif, pugile algerina a un passo dall’oro: sfiderà domenica 9 agosto la cinese Yang Liu. Comunque vada per l’oro, Khelif resterà la principale testimonial della consacrazione delle Olimpiadi al tema dell’inclusione e dei diritti, un formidabile palcoscenico planetario per le gender politics, altro che le presidenziali americane; anche la taiwanese Lin Yu-ting ha fatto la sua parte. Intanto, sui social, tutti commissari genetici: un minestrone di ormoni, cromosomi e atti di nascita – con tanto di foto fake di Imane odalisca. Mano sul fuoco sul fatto che Imane e Lin, come si diceva, hanno vagina e livelli di testosterone ottimali, in lotta contro l’armata putiniana, antialgerina, razzista e terfica capitanata, malgré eux, da Lord Sebastian Coe, presidente di World Athletics e già mitologico atleta, e dalla special rapporteur contro la violenza all’Onu, signora Reem Alsalem. Alsalem chiede la reintroduzione dei sex test, aboliti alle Olimpiadi di Sidney del 2000 nonostante ai precedenti Giochi di Atlanta (1996) l’82 per cento delle atlete si fosse espresso per il loro mantenimento. Lo chiede allo scopo di “garantire la sicurezza fisica di tutte le atlete” e la fairness necessaria alle gare. 

 

 


Il sex test poi non è niente di trascendentale: un semplice ed economico tampone strofinato all’interno della guancia per accertare se sei un XX (donna) o un XY (maschio), tertium non datur. E per accertarlo in via definitiva, visto puoi fare tutto quello che vuoi ma i cromosomi non li cambi. Il livello di testosterone può essere modificato, i cromosomi no.
Nel sangue di Imane sarebbero state trovate solo “tracce” di cromosomi XY, delirano i suoi fan: tipo alcol test positivo. Ma se una cellula è XY, tutte le cellule sono XY. Se sei una donna con testosterone alto – come nella sindrome dell’ovaio policistico – resti comunque una donna. E se sei un uomo, ovvero XY, abbassare i livelli di testosterone non ti farà diventare una donna. In ogni caso, come ha ben spiegato Sebastian Coe, possibile nuovo capo del Cio, quello che conta non è tanto il livello di testosterone nell’imminenza della gara quanto piuttosto quello che nel momento della pubertà ha indotto lo sviluppo di un corpo maschile. Corpo che, secondo lui, non può gareggiare con un corpo femminile, visto che sono i corpi a essere in gioco nello sport. 

 

Lo conferma un recentissimo studio dello Scandinavian Journal of Medicine & Science in Sports, titolo: “The International Olympic Committee framework on fairness, inclusion and nondiscrimination on the basis of gender identity and sex variations does not protect fairness for female athletes”. Si legge: “L’esposizione al testosterone durante lo sviluppo maschile determina differenze fisiche tra i corpi maschili e femminili. Questo processo è alla base del vantaggio atletico maschile in termini di massa muscolare, forza e potenza, resistenza e capacità aerobica. Il principio del Cio ‘nessuna presunzione di vantaggio’ non tiene conto di questa realtà”.

 

Altro argomento in voga tra i commissari genetici social: alla nascita Imane è stata registrata all’anagrafe come donna, e questo prova che è donna, lo dice anche suo papà. Ma le carte sono una cosa, i corpi un’altra. Oggi in molti paesi è diventato semplicissimo cambiarle, le carte. In Germania puoi fare il cambio anche una volta l’anno, più o meno come gli armadi: basta andare all’anagrafe e avere pazienza tre mesi. Imane non ha cambiato sesso, questo è certo, in Algeria non si può fare. Ma se è vero che, come ha twittato Monica Cirinnà – eminente anti-Rowling – Khelif è “un intersex socializzata femmina”, questo significa che a fronte di una morfologia incerta dei genitali è stato deciso di trascriverla come bambina. Nel caso della sindrome di Morris, per fare un esempio di intersessualità o DSD, molto spesso la creatura ha un abbozzo di vagina e di qualcos’altro e i testicoli sono ritenuti all’interno. La trascrizione e socializzazione al femminile, spiegano i chirurghi specializzati, creano molti meno problemi: è più facile correggere le anomalie creando una simil-vulva che ricostruire un sesso maschile. Ecco perché la maggioranza dei nati Morris vengono cresciuti come bambine, anche se sono e restano XY.

 

 


Altre Faq correnti: perché l’International Boxing Association (IBA) che l’anno scorso sulla base di alcuni test – non il semplice testosterone – ha deciso di non ammettere ai mondiali Khelif e Lin non rende pubblici questi test? Semplice: perché non può. Si tratta di informazioni mediche protette, l’IBA sarebbe passibile di denuncia. Solo Khelif e Lin, nel loro interesse, potrebbero autorizzare i laboratori a rilasciare i risultati. A quanto pare hanno deciso di non farlo. Ancora: perché IBA non ha permesso a Lin e Khelif di impugnare la squalifica? Veramente non è andata così: Lin ha deciso di non contestare mentre Khelif ha portato la decisione all’attenzione della Corte arbitrale dello sport (Cas), tribunale del tutto indipendente che supervisiona le controversie nell’atletica ad alto livello. Ma ha poi ritirato il ricorso prima che potesse procedere in tribunale: avrà avuto ottime ragioni per desistere.

 

Se Khelif e Lin non sono donne ma intersex – non solo Cirinnà: lo dice anche Simone Alliva, firma Lgbtq+ dell’Espresso – meritano senz’altro il massimo rispetto e tutta la necessaria attenzione. Ma si può pensare di caricare questo peso sulle spalle di ragazze che a costo di immani sacrifici e anni di duro lavoro hanno raggiunto il livello olimpico? Si può chiedere loro di abnegarsi per garantire l’inclusione? Non è questo – il sacrificio per il bene altrui – esattamente ciò che il patriarcato si aspetta dalle donne da alcuni millenni a questa parte? Come mai sono proprio progressisti e liberal di tutto il mondo ad avanzare questa assurda pretesa di maternage, attaccando le donne che da anni si difendono gridando “Save women’s sports”? 

 

Linda Blade, ex campionessa di atletica canadese, ha quantificato l’enorme vantaggio fisico maschile dal 10 al 160 per cento a seconda dello sport. Il corpo di un uomo è infatti dal 20 al 40 per cento più pesante, del 30-60 per cento più potente, ha un 33 per cento in più di potenza esplosiva, è più veloce del 10-15 per cento nella corsa, i calci e i pugni sono del 20 per cento e del 160 per cento più forti, la forza di mischia nel rugby aumenta del 40-6%, l’assorbimento massimo di ossigeno è del 20-40 per cento maggiore. Le cose stanno così e non avrebbero bisogno di dimostrazioni.
Ma Blade generosamente si preoccupa anche di trovare la giusta mediazione tra inclusività e lealtà sportiva e nel suo libro “Unsporting. How Trans Activism and Science Denial are Destroying Sport”, propone due categorie: una esclusivamente femminile (XX) e una maschile aperta in cui possano gareggiare atleti uomini che si identifichino come donne o che all’anagrafe, per strane peripezie della vita, risultino donne pur essendo XY. Non potrebbe essere un’idea? 
Ce n’è un’altra, decisamente più tranchant, avanzata in un reel che sta girando molto negli ultimi giorni: aboliamoli, gli sport femminili, e chiudiamola lì. In effetti potrebbe funzionare. Satira, ma forse neanche troppo.