Olimpiadi

Perchè i medaglieri dei Giochi olimpici sono iniqui e una modesta proposta per riformarli

Filippo Lubrano

Volano economico e culturale, ma soprattutto indice indispensabile per valutare il peso geopolitico e sociale di uno stato. Ecco perchè l'attuale sistema di punteggio ponderato delle medaglie svilisce i successi sportivi raggiunti con sudore e sacrifici, e in quale modo si potrebbe risolvere il problema

Nell’èra dell’intelligenza artificiale applicata a ogni ambito della vita, ci meritiamo più di un abaco per contare le medaglie. E i Giochi olimpici sono da sempre più di una semplice competizione sportiva. Rappresentano un palcoscenico globale dove le nazioni misurano non solo le capacità atletiche dei loro migliori atleti, ma soprattutto il proprio prestigio internazionale. In una società pacificata, o in una società che spesso ha vissuto una pace anche se effimera proprio grazie a esse, le Olimpiadi sono un degno surrogato dello scontro militare: una simulazione di gesti più cruenti, in un ambiente safe e delimitato, come le lotte con i soldatini da bambini. Lo sono da sempre, dicevamo, ma ultimamente un po’ di più. La scomparsa dalle competizioni dei vessilli russi, l’aberrazione dell’imposizione cinese di avere una Taiwan che al posto della propria bandiera ne deve usare una posticcia con i cerchi olimpici (un tifoso taiwanese è stato espulso da una manifestazione perché aveva avuto il coraggio di portare la bandiera originale) e gareggia come “Taipei cinese” e lo scontro Cina-Usa anche in ambito sportivo hanno dato nuovi significati alla competizione olimpica. 

 

Un caso emblematico di come i Giochi siano diventati terreno di scontro per il soft power è la recente modifica nella presentazione del medagliere da parte della maggior parte dei media americani, in testa il New York Times. A partire dai Giochi olimpici di Tokyo 2020, le testate americane hanno adottato un nuovo metodo di classificazione che porta a sommare tutte le medaglie indipendentemente dal loro colore, anziché dare priorità alle medaglie d’oro come tradizionalmente fatto in qualsiasi albo olimpico, dal televideo in avanti.

 

La scelta non è casuale, anche se piuttosto imbarazzante. Risale alle Olimpiadi di Pechino 2008, quando la Cina superò per la prima volta l’America nel conteggio delle medaglie d’oro. La competizione si è fatta ancora più serrata a Tokyo 2020, dove gli Stati Uniti temevano di chiudere nuovamente dietro la Cina nella classifica tradizionale. La mossa di alcuni media americani rivela quanto le Olimpiadi siano diventate cruciali per l’orgoglio nazionale e il soft power, al punto da piegarsi a evidenti strumentalizzazioni.

 

Tuttavia, questa nuova metodologia presenta paradossi evidenti. Un podio che vede, per esempio, un atleta cinese vincere l’oro e due statunitensi conquistare argento e bronzo verrebbe conteggiato, ai fini del medagliere “americano”, come una vittoria degli Stati Uniti. Una distorsione che mal si concilia con lo spirito olimpico e la realtà sportiva. Ma il sistema tradizionale utilizzato dal Comitato olimpico internazionale e dalla maggior parte del mondo non è esente da critiche. Ci sono casi in cui nazioni che vincono decine di medaglie, ma poche d’oro, e finiscono dietro nel medagliere ufficiale ad altre che possono contare solo su un atleta eccezionale vincitore in più gare, come nel nuoto o nell’atletica. Inoltre, in questo sistema, il valore di argenti e bronzi diventa quasi trascurabile, utile solo nei rari casi di parità nel conteggio degli ori.

 

È evidente che entrambi i sistemi presentano lacune significative. Come possiamo allora valutare in modo più equo e rappresentativo il successo olimpico di una nazione? Una proposta potrebbe essere l’introduzione di un sistema di punteggio ponderato: 5 punti per l’oro, 3 per l’argento e 1 per il bronzo. Questo metodo permetterebbe di valorizzare tutte le medaglie, mantenendo comunque una gerarchia che rispecchi il loro valore sportivo. Si eviterebbero così alcuni non-sense dell’attuale sistema, offrendo una visione più rispettosa e completa dello stato di salute sportiva di un paese. Certo, si potrebbero esplorare anche altre soluzioni più complesse. Ad esempio, si potrebbe considerare di pesare il valore di una medaglia in base al numero di atleti che praticano quello sport nel mondo. Tuttavia, un sistema del genere potrebbe risultare contrario ai principi egualitari e “decoubertiani” dell’olimpiade stessa, oltre a presentare notevoli difficoltà di implementazione.

 

Certo, discutere di come conteggiare le medaglie olimpiche possa sembrare un “problema da primo mondo”. Eppure, se per due settimane ogni quattro anni il mondo intero non parla d’altro, e considerando che le Olimpiadi sono un motore economico e culturale non trascurabile, il tema merita di essere affrontato con serietà. Eventi come i Giochi non sono solo una vetrina per gli atleti, ma anche uno specchio delle dinamiche geopolitiche (e sociali, come il caso Khelif insegna) globali. Il modo in cui misuriamo e presentiamo il successo olimpico influenza la percezione pubblica, le politiche sportive nazionali e persino le relazioni internazionali. Un sistema di valutazione più equo e rappresentativo potrebbe contribuire a ridurre le tensioni e le strumentalizzazioni, riportando l’attenzione sul vero spirito olimpico di competizione leale e fratellanza tra i popoli.

 

In conclusione, mentre ci prepariamo per le prossime Olimpiadi, potrebbe essere il momento giusto per avviare una riflessione seria su come vogliamo misurare e celebrare il successo olimpico. Un sistema di punteggio ponderato potrebbe essere un primo passo verso una rappresentazione più equa e significativa dei risultati, che valorizzi gli sforzi di tutti gli atleti e offra un quadro più accurato delle prestazioni delle nazioni partecipanti.

 

Le Olimpiadi sono molto più di una semplice competizione sportiva. Sono un evento che unisce il mondo, ispira generazioni e plasma la percezione globale delle nazioni. Meritano un sistema di valutazione più equo, e all’altezza di questi ideali.

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